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Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974 | ||
6 BOSCHI E CAMPI Umberto Bagnaresi I numerosi Autori che si sono occupati del paesaggio dei Gessi, ne hanno rilevato le multiformi articolazioni morfologiche, che in questo ambiente acquistano un particolare significato per gli stretti legami che hanno con la vita vegetale ed animale e, quindi, con le attività umane in tempi remoti e recenti. L'uomo ha utilizzato in vario modo le risorse produttive ivi presenti lasciando profondi segni nella vegetazione spontanea e nel paesaggio. incolti, prati pascoli, boschi, campi, si susseguono spesso in una prevedibile collocazione nel territorio determinata dall'alternarsi di pendici scoscese, anfratti, doline più o meno vaste, versanti con moderata pendenza, depositi alluvionali, nonché dalla diversa esposizione. Nei versanti più scoscesi, rivolti a sud, affiora la roccia nuda in potenti banchi intervallati da esili terrazze coperte da una stentata vegetazione termofila. In genere, nei terreni più profondi che si riscontrano nelle doline, nei compluvi e nei versanti meno acclivi, presenti nelle esposizioni Nord, l'uomo ha esteso in passato diverse colture agricole, relegando il bosco ed il pascolo nelle pendici più ripide e meno fertili. Lungo il margine inferiore della Vena, a contatto con gli affioramenti argillosi, dove le pendenze si fanno più moderate, il bosco scompare lasciando un ampio spazio alle colture agricole ed il paesaggio cambia repentinamente, passando da forestale-montano ad agricolo-collinare. Nei versanti esposti a sud, confinanti con la Vena, affiorano arenarie e marne stratificate che determinano condizioni edafiche potenzialmente più favorevoli per il bosco, che si trova però normalmente relegato nelle pendici più irregolari, scoscese e franose, nonché sulle sponde dei corsi d'acqua profondamente incisi, delimitanti estese ed, a volte, ottime aree agricole. Lungo la fascia inferiore della Vena, spesso saldamente impostati accanto ad emergenze rocciose, ma in stretta vicinanza dei campi più fertili, un tempo erano collocati numerosi centri aziendali, costruiti quasi totalmente con blocchi di gesso ricavati sul posto: un'architettura povera, ridotta al minimo funzionale, con volumi modesti ed elementi semplici, di non facile manutenzione per la stessa natura del gesso. Non mancava la cisterna che raccoglieva l'acqua piovana e che doveva bastare per tutto l'anno alla famiglia ed al bestiame. L'azienda, almeno prima dell'ultima guerra mondiale, era caratterizzata dall'allevamento ovino e bovino, da pochi seminativi e dalla produzione dei boschi cedui, in prevalenza misti di roverella e carpino, costituita da legna da ardere di buona qualità. Spesso era faticoso l'accesso alle case, ai ricoveri per animali e fieno e alle varie parti del podere. Povere le produzioni agricole. Per questi motivi le aziende della Vena furono le prime ad essere abbandonate dopo l'ultimo dopoguerra. Ma prima dell'abbandono le risorse produttive furono pesantemente sfruttate ed ancora oggi il paesaggio risente di questo intenso sfruttamento, seguito da un repentino abbandono: cedui radi invasi da cespugli e liane, campi degradati e pascoli erosi in cui arbusti spontanei hanno ormai cancellato ogni segno di coltura, ecc. Ora la vegetazione forestale, tipica della Vena, conservatasi in aree rifugio, con l'abbandono dell'agricoltura sta riprendendo molti spazi un tempo perduti, ricoprendo gradualmente campi, boschi e pascoli. Nel tratto tra il fiume Santerno e il Senio, la coltura dei boschi e dei pascoli trovò la sua massima espressione fino agli anni '50. Per le favorevoli condizioni del suolo, qui vennero coltivati per secoli anche castagneti da frutto, alcuni dei quali ancora oggi sono attentamente curati, dopo un lungo periodo di abbandono determinato sia dall'esodo della popolazione agricola avvenuta dopo gli anni 50, sia dal "cancro corticale": una letale malattia originata da un fungo che si sviluppa tra corteccia e legno dei tronchi e dei rami e che ha distrutto nel dopoguerra i migliori castagneti della regione. Ma in questo settore territoriale dominano oggi i cedui misti di roverella e di carpino, ancora pesantemente utilizzati in vicinanza di strade, ovvero da tempo abbandonati, intercalati qua e là da rimboschimenti di conifere, queste ultime estranee alla vegetazione naturale locale. Solo alcune aziende ancora vitali, in genere a "part-time" ed ubicate lungo il margine inferiore della Vena, provvedono in modo vario e saltuario a gestire colture cerealicole ed ortofrutticole, spesso dedicandovi una particolare cura, e ad utilizzare alcune aree di bosco nella fascia superiore. Ancor più ad oriente, tra i torrenti Senio e Sintria, il territorio della Vena si espande, ma diventa più aspro e povero per l'agricoltura: prevalgono magri pascoli e cedui misti a volte ancora intensamente sfruttati, intercalati da rimboschimenti più o meno recenti. Nel versante sud, al piede delle imponenti pareti di gesso fasciate inferiormente da boschi di roverella, si osservano aziende ancora attive ed una grande varietà di colture (frutteti, impianti arborei da legno) atte a sfruttare gli ottimi terreni, spesso ubicati in ampie doline o su pendici moderatamente acclivi. Più oltre, verso il Lamone, la Vena emerge su un territorio in cui fenomeni erosivi, aspre pendici, campi abbandonati, si alternano a colture agricole frutticole, cerealicole e foraggere ben condotte, realizzate su ottimi terreni con moderata pendenza ubicati in prevalenza nel versante Nord. Intercalati ad affioramenti rocciosi si possono osservare estesi boschi di conifere, frutto di una intensa e pluriennale opera di rimboschimento, sotto cui ora compaiono numerose latifoglie spontanee. Ad occidente, oltre il Santerno, nel territorio bolognese, gli affioramenti del gesso si presentano meno estesi e meno emergenti nel paesaggio. Qui le aziende agricole sono prevalentemente ubicate ai margini estremi della Vena, estendendosi spesso anche sui terreni arenacei od argillosi, inclusi o confinanti. Queste aziende sembrano avere qui una maggiore vitalità, espressa dalla presenza di una molteplicità di colture e da un'elevata meccanizzazione. Non mancano terreni incolti e, sulle pendici gessose più rivolte a nord, larghe aree di boschi cedui con prevalenza di roverella. La recente crisi dell'agricoltura collinare non ha avuto in quest'area importanti ed estese manifestazioni di abbandono, sicuramente anche per la vicinanza della città di Bologna. Ciò ha infatti influito solamente sulle scelte colturali, sulla modificazione di indirizzi produttivi aziendali, sulla figura del proprietario e del conduttore dell'azienda. Pur presenti, le situazioni di precarietà colturale sono ancora abbastanza contenute. Più importante è la presenza nell'area di edifici per abitazione, appartenenti a proprietari occupati in altri settori economici. Questo fenomeno ha influito su alcuni aspetti caratteristici del paesaggio agricolo e forestale locale. Altrettanto frequenti le "seconde case" appartenenti a cittadini bolognesi. Per illustrare meglio le caratteristiche agricole dell'area, merita riportare una sintesi di un censimento condotto dalla Provincia di Bologna agli inizi degli anni '80 su 45 aziende agricole della zona. Su una superficie totale di 1013,7 ettari, più o meno interessata dalla presenza di affioramenti gessosi, l'ampiezza media delle aziende ricadenti nel territorio risultava di 22,92 ettari; dimensione questa assai superiore al valore medio rilevato per il territorio agricolo della provincia di Bologna, corrispondente a circa dieci ettari. Considerevole la superficie agricola censita "non utilizzata" alla data indicata (162.3 ha) e quella dei boschi e dei pascoli (poco meno della metà della totale superficie delle aziende). Il valore medio delle tare per azienda (superficie destinata al centro aziendale, alle sistemazioni, alla viabilità, ecc.) era relativamente elevato (1,07 ha) nei confronti della realtà provinciale. Prima della promulgazione della legge sulla mezzadria, il numero di aziende tenute con questa forma di conduzione era abbastanza numeroso (dieci aziende su un totale di 45). Nel 1980, la forma di conduzione più diffusa nelle aziende ancora attive risultò quella diretto-coltivatrice, seguita dalla conduzione in economia e a mezzo di contoterzisti. La quasi totalità di queste aziende era costituita da un unico corpo. In molte di esse i componenti della famiglia del conduttore lavoravano al di fuori dell'azienda stessa, pur continuando ad abitarvi (44% delle aziende censite). Mentre per quanto concerne il "part-time", questo non era molto diffuso (8,8% delle aziende). Frequente era poi il ricorso a conto terzisti per l'uso delle macchine, fenomeno accentuatosi negli anni successivi. Ancora oggi (1990) le colture estensive, cereali e foraggere, occupano gran parte della superficie agricola utilizzata. in complesso si può parlare, in base ai pochi dati disponibili, di aziende in prevalenza cerealicolo-foraggere. Il reddito di queste aziende è poi integrato da colture intensive (ortaggi, frutteti, vigneti) la cui estensione è più o meno sviluppata a seconda delle attività del conduttore. L'allevamento animale, soprattutto bovino, sta perdendo ogni giorno di più la sua importanza. Infatti, mentre aumentano le colture dei cereali, molte stalle sono vuote o sottoutilizzate. Molte aziende producono foraggio, che spesso non viene però utilizzato in azienda ma immesso sul mercato, tendenza questa comune a molte aziende delle zone collinari. Si può affermare che l'attività agricola ancora presente nel territorio dei gessi, sostanzialmente basata fino a pochi anni fa su vecchi criteri, stia ora profondamente cambiando. La riconversione agricola si manifesta come un'estensivazione non proposta o desiderata, ma subìta, o resasi necessaria a seguito della riduzione degli addetti, ovvero per la loro occupazione in altri settori, per l'elevato costo della manodopera, o per la sempre maggiore presenza di proprietari estranei all'attività agricola. I ricoveri sono spesso abbandonati o tenuti senza alcuna cura o destinati ad altri usi, non agricoli. In costante progressione, nei terreni più idonei, è il ricorso a colture realizzate e curate da imprese esterne dotate di macchine. Non mancano, comunque, iniziative coraggiose di proprietari che attuano in aree idonee colture ancora intensive di vario tipo (frutteti, vigneti, arboricoltura da legno), di non facile gestione. Ma è sempre più frequente l'uso del centro aziendale come casa di abitazione, e la tendenza a sostituire le colture tradizionali con altre, più estensive. I rimboschimenti dei terreni ex agricoli sono circoscritti ed attuati spesso con specie e tecniche inadatte: frequentemente sono impiegati pioppi ibridi euroamericani e conifere, che mal si adattano alle condizioni locali di clima o di terreno e che stridono con le principali componenti del paesaggio naturale. Per quanto riguarda le formazioni forestali spontanee, la situazione è oggi alquanto varia e contraddittoria: nelle aziende abbandonate si attuano tagli intensi nei boschi affidati ad imprese contoterziste, o, all'opposto, si manifesta il totale abbandono colturale. In quest'ultimo caso si osserva nel bosco il rapido ingresso di una grande quantità di arbusti e liane spontanei ed il manifestarsi di condizioni favorevoli all'alto fusto. Nelle aziende ancora attive, invece, il tradizionale ceduo per la produzione di legna da ardere, caratterizzato da utilizzazioni frequenti ed intense, può riscontrarsi ancora con frequenza, con i suoi effetti negativi sul paesaggio, sulla conservazione e sulla presenza di importanti elementi floristici tipici degli affioramenti gessosi. Col taglio raso, caratteristico di questa forma colturale, vengono inoltre colpite alcune specie arboree più esigenti ed a lenta crescita (ad es. alcune rosacee) che nei suoli e nelle esposizioni migliori potrebbero trovare una maggiore diffusione. Nel complesso, si può affermare che la vegetazione forestale della Vena risente in modo positivo della riduzione dei tagli e del pascolo: salvo casi eccezionali, i boschi si evolvono lentamente verso strutture più naturali e più ricche di specie. Certamente la crisi dell'agricoltura collinare, ancora in atto, porterà ad ulteriori cambiamenti nei rapporti tradizionali tra seminativi, colture foraggere, cerealicole e frutticole. Cambierà, di conseguenza, il paesaggio, a vantaggio di una maggiore naturalizzazione od estensivazione colturale nelle aree meno favorevoli all'agricoltura, mentre le colture più intensive si concentreranno nelle aree migliori, pianeggianti, accessibili. Probabilmente in vicinanza di strade ed abitazioni si svilupperanno orti e colture di fine settimana, curati con sempre maggiore interesse dai cittadini. Fino a pochi decenni fa, la zappa, l'aratro, hanno sfruttato ogni terreno suscettibile di qualche produzione agricola, relegando il bosco nelle aree più aspre e povere. Oggi il bosco riconquista gradualmente lo spazio un tempo perduto, rivelando le sue migliori potenzialità ed una sorprendente vitalità. Ciò non potrà che favorire un diverso equilibrio tra l'uomo e la natura locale, ricco di nuovi interessi e di fascino. |
Fig. 1 - Nel versante a sud, tra Santerno e Senio, a contatto con la Vena del Gesso, le colture agricole intensive si alternano con aree franose ed incolti su ripide pendici. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 2 - Un suggestivo scorcio del castagneto di Campiuno nei pressi di Tossignano. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 3 - Un vecchio centro aziendale in rovina nel versante nord della Vena, in vicinanza di Sasso Letroso, tra Santerno e Senio. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 4 - Un castagneto ben curato in località Ca' Budrio tra Santerno e Senio. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 5 - Un'azienda agricola ancora attiva nel versante nord della Vena; si notino, sullo sfondo, i numerosi calanchi che caratterizzano le colline argillose plioceniche. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 6 - Nascoste tra quinte rocciose si incontrano sorprendentí e suggestivi frutteti, attentamente curati (Loc. Crivellari, tra Senio e Sintria). (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 7 - Una vigorosa ceppaia di carpino nero, specie che unitamente alla roverella caratterizza i boschi del versante nord della Vena. (Foto U. Bagnaresi). |
Fig. 8 - Nei freschi compluvi spesso allignano specie arboree igrofile: in questo caso si può distinguere un denso gruppo di pioppi. (Foto U. Bagnaresi). |
Fig. 9 - Il ginepro è una delle prime specie che, assieme alla ginestra, colonizza i pascoli abbandonati. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 10 - Sulla sommità della Vena si puo spesso osservare una fitta vegetazione di alberi ed arbusti piegati dal vento. (foto U. Bagnaresi). |
Fig. 11 - Esemplari di leccio riescono a sopravvivere in condizioni estreme sulle ripide pareti della Vena; in basso a destra la grande dolina del Rio Stella tra Senio e Sintria. (foto U, Bagnaresi). |
Fig. 12 - Stralcio della Carta di Utilizzazione del Suolo (scala 1:200.000) della regione Emilia-Romagna (1977-1983) a cui si rimanda per la legenda delle sigle. |
Fig. 13 - Frutticoltura specializzata ai piedi della Riva di S. Biagio presso Tossignano. |
Fig. 14 - I resti della chiesetta di Monte Mauro dopo il recente parziale abbattimento nel 1992 (cfr. Fig. 16 a p. 329). |
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Speleo GAM Mezzano (RA)