Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974
   

TRADIZIONE E MONDO CULTURALE

Susanna Raccagni

Antichi legami e magici intrecciano cultura popolare ed economia silvo-pastorale, radicando civiltà contadina e mondo animale e vegetale. Sappiamo quanto sia remoto il rapporto instaurato dall'uomo con la Vena gessosa: antri naturali per abitazione, ma anche caverne adibite a culti salutari. Pedogenesi e carsismo hanno scolpito sul terreno gessoso pozzi, gole, buche, inciso forre, anfratti, inghiottitoi: e su di loro gli orridi della fantasia hanno vagato, creando a scongiuro le avite leggende, gli ancestrali "si narra" delle sanguinarie lotte medioevali, dell'angosciante Buca dell'Inferno o della tenera ma amara leggenda della Tana del Re Tiberio. 

In Romagna nel 1448 a Monte Battaglia, non lontano da San Ruffillo, tra le valli del Santerno e Senio, lo scontro sanguinoso che travolge i vincoli di sangue è tra i due fratelli Taddeo e Astorgio Manfredi, ai ferri corti per il vicariato di Imola. Tanto fu aspra la lotta che la tradizione vuole che i contemporanei ne ascrivessero la memoria al monte, nominato Battaglia dopo di allora (1). In realtà l'etimo (che ritorna nel vicino Monte Battagliola) rimanda al latino regionale "pataia"-"pataiola", in romagnolo" la "stoffa" che esce dalle brache dei bambini". Sul longobardo pataia si è plasmato il termine "Patarini", gli straccioni, i pezzenti (2).

Più in là, a monte della Grotta del Farneto, nell'altopiano gessoso bolognese che giunge al Torrente Idice, suggestiona fin nel nome la grande Buca dell'Inferno, in realtà un'ampia dolina così ribattezzata probabilmente per gli effluvi che sprigiona il cozzare di masse d'aria a differenti temperature: fredde all'esterno, nelle più rigide giornate invernali; e calde nelle viscere, nei meandri dei vasti pozzi interni (3).

Parecchie altre voci che corrono nei paraggi di Croara, un tempo anche Corvara (entrambi probabili zoonomi che attestano la diffusione di corvi e cornacchie nella regione) (4), ammoniscono narrando dolorose storie: di improvvise scomparse di uomini e di bestie "inghiottiti in voragini che si sarebbero aperte all'improvviso, e mai più ritrovati"; mentre ogni volta non si mancava di recuperare - sintomatico indizio - un qualcosa di appartenuto alle vittime. Il Buco dei Buoi inghiottì in un sol colpo carro e animali, salvo lasciare traccia dell'accaduto nell'asta con anelle per l'aggiogo dei buoi al carro. E di una donna altresì svanita nel nulla, altro non si rinverrà se non il suo cesto di provviste trovato all'imbocco di uno stretto pertugio (5).

"Misere Azzano", da cui si fa leggendariamente discendere Miserazzano, è l'ultimo grido e insieme il tragico epilogo di una triste storia medioevale. Si narra, infatti, che il nobile cavaliere Azzano in ossequio all'etica e codice cavallereschi abbia eroicamente cancellato la vergogna e il disonore di una sconfitta subita lanciandosi "a capofitto, dopo una folla ricorsa a cavallo, dall'alto della rupe gessosa che si affaccia sulla valle del Savena" (6). Tra i massicci gessosi romagnoli nel fianco destro della stretta di Rivola, e ad 80-85 metri di altitudine sul greto del Sento, in zona franosa, si annida la Tana del Re Tiberio. Qui tradizione e toponimo si dice valgano un'unica storia: e raccontano che la magica caverna di selenite - immune da folgorazione - sia stata eletta a proprio rifugio dal gran Re, e forse Imperatore, Tiberio, in fuga dalla profezia che gli presagiva la morte a causa di una folgore. Eppure fu vano il tentativo di esorcizzare il fato. Perché Re Tiberio, dopo lunghi e lunghissimi anni sempre trascorsi al riparo nella magica grotta, un giorno decise di lasciare la tana per un po', quanto bastava per una veloce cavalcata sul suo più bel destriero. Ovunque il giorno risplendeva della piena luce del sole, il cielo era limpido e terso... con appena il punto di una tenue, rosa nuvoletta, un ghirigoro là in fondo in fondo, ai confini dell'orizzonte...

Ma ecco che d'improvviso il cielo si tinge di nero, il bioccolo di nube ingrossa, si fa scuro, e minaccioso corre più veloce del rapido destriero, lo raggiunge: e fu così che il gran Re Tiberio rimase fulminato da una saetta caduta dalla nera nube formatasi d'improvviso. "In altre versioni - un gran Re deve pur vivere da Re - si aggiunge che nella grotta, questo immaginario Re Tiberio si era addirittura arredato una reggia lussuosa, e qui egli fra l'altro possedeva una massiccia tavola d'oro" (7). Tanto grande è la fama e le cose meravigliose fantasticate su questa spelonca, che nel correre dei secoli hanno trovato alimento in chi - ricorda Metelli - ardì di penetrarvi, raccontando "ai semplici di intricati ravvolgimenti, che mettevano ad una moltitudine di caverne tutte incrostate di salnitri, alla bocca di una delle quali vedevansi ancora gli avanzi di una porta di ferro, che pendeva dagli arpioni, finché poi si riusciva in un laghetto, oltre il quale non era dato di traghettare" (8). Minor poesia cela il piano storico. Che svela come il toponimo derivi, anziché dal Re Tiberio, dall'antica Pieve nominata di Santa Maria in Tiberiaco, e racconta che "essa non è che una vasta grotta ne' tempi addietro riattata dai mandriani a ricovero loro e de' loro bestiami, come dopo fu anche di malfattori" (9). Precisando, l'ipotesi è che la voce "re" non sia che la traduzione vernacola di "rio", e il nome Tiberio provenga da una famiglia Tiberia Claudia, faentina, nome che si ripete nella denominazione della Pieve di S. Maria in Tiberiaco presso Casola, e che richiama alla memoria l'antico nome (Tyberiacum) di Bagnacavallo. Anzi, la denominazione Tyberiacum pare si applicasse un tempo a tutta la valle del Senio (10).

E invece leggendario lo storico assalto di Maghinardo Pagani al Castello di Monte Maggiore (l'oppidum Tyberiacum del 950) nella suggestiva versione datane dal Lega, attratto dalla natura potente e selvaggia dei luoghi. 

"Nel silenzio di un'oscura notte, levate d'improvviso le sue più ardite milizie, camminò alla volta di Monte Maggiore; e a piedi del monte lasciati i cavalli, in silenzio li te' salire su per quegli aspri calli. Pervenuto in su la cresta, subitamente le lanciò alla scalata, in guisa che, prima che le scolte gridassero, all'arme, esso coi suoi era confuso tra quelle. Intanto fra il buio, l'agitazione e lo strepitio delle armi, le grida che tutti mettevano destatosi il Castellano, non gli giovò mercé chiamare, che già il Castello era nelle mani di Maghinardo; e alla vista del vessillo della città coll'arme de' Pagani da quella superba vetta dato ai venti, tutta Romagna impaurì" (11).

Cronache e storie più o meno leggendarie, tutte insieme abitano la tradizione di una terra, la Romagna appunto, che voce di popolo da questi secoli in poi vuole forte e sanguinaria. Sicuro orgoglio, se non addirittura vanto di chi può scrivere: "sono gli uomini di questa Valle naturalmente inclinati a l'armi et alla guerra, et in questo si esercitano buona parte del tempo; e quantunque siino contadini, che lavorano la terra, maneggiando tuttavia almeno i giorni de le feste l'armi, e' si reputano a gran vergogna se non si ponno gloriare di esser stati una o più volte alla guerra, e nell'eserciti formati" (12).

Sono i celebri "Brassichelli" di frequente al soldo dei Veneziani, presso i quali l'appellativo era sinonimo di valenti armigeri, "bravi e pronti a menar le mani". Anzi a tal punto "che in tutta la provincia non è la più bella, ne la meglio armata milizia di quella di Brassichella e Valle di Amone; e perché sono facili alle risse e questioni è nato un proverbio che la Corte di Romagna si morirebbe di fame, se non fossero le criminalità degli uomini di Brassichella e Valle di Amone" (13). Proverbio figlio di storie di armi e di forza. A cui la Val Lamone aggiunge le altrettanto tradizionali voci sull" `impegno, vivacità di spirito...; pietà et bontà naturale". Così che in salutare antinomia i celebri Brassichelli coabitano con letterati, religiosi, teologi, oltre "a un'infinità di preti" francescani e domenicani. "Anzi si suol dire quasi per proverbio, che sono in Roma più dottori di Brassichella e Valle Amone sola, che di tutto il resto di Romagna" (14).

Scorrendo qua e là la toponomastica della zona, alcune curiosità spiccano per i certi o probabili rimedi alle caratteristiche geologiche dei suoli. Brisighella (Brisghella nell'anno 1371) è verosimilmente un retrocostruito: brischella porta al romagnolo bréska, favo, e al siciliano briscale: "terra spugnosa, gessosa" come appunto è la natura delle sue colline. Mentre dal latino gypsum derivano i toponimi "Gesso", frequenti là dove le colline sono gessose, ricche di solfato di calcio idrato. Gallisterna presso Riolo: è forse toponimo d'influsso etrusco, forse deformazione rustica: l'italico galestra vale "argilla dura mescolata con carbonato di calcio". D'altra origine, invece, i due percorsi per il nome Crivellari: o da cribrum, vaglio, crivello, setaccio (in romagnolo karvél, crivello); o dagaravela (raccolta), dall'antico alto tedesco garba (covone). "Toponimo diffuso, vario e antico", Baccagnano ha etimo incerto. Sia che il prediale si apprezzi da Bacchanianus a Bacchus, il Bacco dio del vino. Sia che valga in sequenza da paganus (contadino) a baganus (che ha nel romagnolo bag'à la voce di maiale rustico, non cinghiale), indi bacanus. Che però ricondotto a bacchanal ricorda il latino bacca "vino" (Varrone) o baccha (baccante) e il verbo "far baccano, baccanale (bacchor-ari) (15). Va da sé il ruolo prediale in aggancio alla cultura e a costumanze magico religiose; particolarmente stimolante in questo senso l'influsso celtico prima, romano poi. L'albero - e massima la quercia sacra - godeva di incondizionato credito. Vi si attribuirono poteri magici, influssi terapeutici sui cicli biologici, animali e vegetali. Ai piedi di enormi querce, i Celti si radunavano, là organizzando la parte più importante della vita associativa: lì discutevano e prendevano le grandi decisioni comuni, di guerra e di pace; lì amministravano la giustizia (16). Agli alberi sacri, oggetto di culto, era riconosciuto il potere di predire il futuro. E se "Ovidio ci ricorda che le querce produttrici di ghiande furono i primi oracoli" (17), i tanti fitonimi dislocati nella zona - Querceto, Querciola, Querzola, lo stesso Farneto - attestano ancor oggi la copertura di un vasto manto arboreo nei secoli passati. L'abitato tossignanese, Querceto, è documentato nell'anno 1159. Da "quercus", nel latino medioevale si plasmerà "quercetum", con il significato di terra a quercia (18). 

Vicende di cronaca brutte e belle segnano i gessaroli. Nella primavera del 1862, è ucciso dal fratello il cavatore di gesso della Parrocchia della Costa, Eugenio Villa. Quarant'anni dopo - nel 1902 - va al gessarolo Giuseppe Poggi la fama di aver salvato una bambina dalle acque del Senio (19).

Presso l'opinione comune, l'antico loro mestiere alimentava sentimenti opposti, suscitando ad un tempo fascino, suggestione, insicurezza. Forse - si è scritto - "per la temerarietà di tentare di sopravvivere senza affidarsi al lavoro dei campi" (20)..

Dal mestiere dei cavatori di gesso allo smercio del prodotto il passo è breve. Altri - i carrettieri - vivevano del mestiere di corrieri trasportando il gesso a Solarolo e a Lugo "con il barroccio (e' bròz) a due ruote, poi sostituito dal sospirato carro a quattro ruote, trainato dal cavallo" (21). Ebbene per questa via si precorrevano i tempi imminenti dello sradicamento della cultura agraria sedimentatosi nel corso degli anni. Si andava insomma infliggendo il colpo mortale alle tradizionali riunioni: alla veglie nelle stalle (i "treb"), ai raduni domenicali nelle aie. E ciò accadeva persino lì, dove i lenti ritmi di vita nella montagna avevano scandito l'incontro e la coabitazione delle due diverse culture, la femminile e la maschile, in un intreccio secolare via via minacciato dalla nascita delle "cameràze": vale a dire "i primi circoli politici rurali (esclusivamente maschili), promossi dalle consociazioni mazziniane delle varie città romagnole" (22).

Ed è fin troppo semplice cogliere nella più fitta maglia di strade e commerci che si vien costruendo sul finire del secolo scorso, seppur per gradi e qua e là con maggior o minor velocità, i segni premonitori di detta rottura; quella stessa che nel nostro secolo sarà incalzata con ineguagliabile vigore dai moderni mezzi di comunicazione di massa, cinema, radio, televisione. Ed è forse questa la ragione per cui oggi diviene eccesso nostalgico la leggenda, il racconto di quei viaggi avventurosi:

"bisognava essere fatti per quel mondo! Si caricava il carro fin dal giorno prima e sul far della sera si lanciavano occhiate al cielo, interrogandolo, con la perplessità di tante promesse non mantenute. Si dormiva quindi nella stalla su una branda, accanto alle bestie, fino a mezzanotte; poi la sveglia; l'ultima bracciata di fieno e la partenza. _Il viaggio era di trentadue chilometri, percorsi al giro lento delle ruote, aspettando il primo sole, le prime case, i primi saluti che rompevano la solitudine. ..La notte seguente, il cavallo si godeva un meritato riposo a Lugo nello stallaggio assieme al "padrone", che dormiva sulla branda, poco lontano. Si ripartiva così nel primo mattino carichi di zucchero, damigiane, botti, sigarette, con quelle commesse che, inconsapevolmente, erano da "corriere-' (23).

Evidentemente, nostalgia a parte, in questa narrazione va colto il consolidarsi di una realtà economico-sociale che persino nella solitudine di un mestiere annuncia l'inizio della fine: dà insomma l'impronta di un rinnovato sistema di vita, che attraverso la cancellazione di millenarie tradizioni e di antichi svaghi, anticipa l'ingresso di inediti modelli sociali.

 

(1) T.C.I., Guida d'Italia - Emilia-Romagna, Milano, 1971, p. 590.

(2) A. Polloni, Toponomastica romagnola, Firenze, 1966, p. 36. (3) M. Vianelli, I gessi di Bologna, op. cit., p. 83.

(4) CIr.: F. Violi, "I nomi locali dell'Emilia-Romagna", in AA.VV., Cultura popolare nell'Emilia-Romagna - Le origini e i linguaggi, (a cura della Federazione regionale delle Casse di Risparmio e delle Banche del Monte), Mi, 1982,

pp. 259-262. E inoltre: Calindri, Dizionario corografico..., op. cit.

(5) M. Vianelli, I gessi di Bologna, op. cit., p. 84.

(6)Ibid., pp. 79-80.. In una seconda versione, si ta derivare il nome dal primo proprietario della Villa, tal Messer Azz,,ino. Cfr.: V. Pallotti, op. cit., p. 136.

(7)Cfr.: TCI, Guida d'Italia Rmilia-Romagna, TCI, Mi, 1971, p. 594. F' inoltre: P. Zangheri, "La Grotta del Re Tiberio" - divagazioni naturalistiche romagnole'', estratto da La Pié", Fo, anno 1930, fase. 9 e 10, p. 5.

(8) A. Metelli, Storia di Brisigbella, op. cit., p. 132.

(9)A. Lega, "Il castello di Monte Maggiore", in op. cit., p. 72.

(10) P. Zangheri, "La Grotta del Re Tiberio - Divagazioni, cit., p. 6.

(11) A. Lega, "I1 castello di Monte Maggiore", in op. cit., p. 74.

(12) A.G. Calegari, op. cit., p. 24.

(13) Ibid., p. 25.

(14) Ibid., pp. 27-28.

(15) In questa parte del lavoro, ci siamo avvalsi del rigoroso studio n. Polloni, Op. cit., alle singole voci esaminate.

(16) Piacevole e senz'altro ricco di suggerimenti ci è sembrato il testo di A. Víanelli, "Il bosco nella cultura popolare", in AA.VV, I boschi dell'Emilia-Romagna, (a cura della Regione Emilia-Romagna), pp. 171-246, ivi p. 180.

(17) Ibid. p. 180.

(18) A. Polloni, op. cit., p. 251.

(19) S. Savorani, "I gessaroli", in AA.VV., op. cit., p. 146.

(20) Ibid.

(21) Ibid.

(22) U. Foschi, "Antichi giochi dei contadini romagnoli", in AA.VV, Il mondo agrario tradizionale nella valle padana-Atti del convegno di studi sul folklore padano, Modena 1963, p. 127.

(23) S. Savorani, cit., p. 147.

   

fig. 17 fig. 18 fig. 19 fig. 20

fig. 21      
            

Fig. 17 - Scalinata intagliata nel substrato gessoso nell'abitato dei Crivellari. (foto S. Raccagni)

Fig. 18 - Le possenti mura dell'antico Castello di Ca' Sassatello fondato sul substrato gessoso alla stretta di Borgo Rivola, in sinistra Senio. (foto S. Raccagni)

Fig. 19 - L'ammasso di gesso di Sassatello non lontano dai ruderi dell'omonimo Castellaccio, alto Sillaro. (foto G. Vianello)

Fig. 20 - Il gesso saccaroide secondario di Sassatello. Particolare di fig. 19 8foto G. Vianello)

   

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