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Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974 | ||
ITINERARIO CARSICO SUI GESSI DI BRISIGHELLA Gian Paolo Costa Brisighella, a 12 chilometri da Faenza, costituisce senza dubbio la più scenografica porta di accesso alla Vena del Gesso romagnola, comodamente raggiungibile attraverso la Statale 302 Ravenna-Faenza-Brisighella o la parallela linea ferroviaria. Il nucleo più antico di Brisighella sorge ai piedi di una scintillante quinta gessosa: i tre colli, sui quali il Santuario del Monticino, la Rocca e la Torre dell'Orologio materializzano allegoricamente i tre poteri (religioso, militare e politico) che da sempre sovrintendono alla vita sociale dell'uomo. All'apice della conoide sulla quale è edificata la quasi totalità del centro storico un lungo fabbricato medioevale, ancorato al gesso, ospita una singolare strada coperta sopraelevata, la via degli Asini. Dal numero civico 18 ha inizio un interessante itinerario carsico sui Gessi di Brisighella. Percorsa la via degli Asini fino alla Residenza municipale, si svolta a destra imboccando il sentiero-scalinata che conduce alla soprastante Torre dell'Orologio. Sul retro dell'edificio del Municipio, di forma allungata in quanto ospita anche il Teatro Comunale, si trova una briglia in cemento realizzata negli anni '30. In questo punto, all'inizio del tratto più ripido del sentiero, è possibile osservare grandi cristalli "a ferro di lancia" la cui giacitura indica che qui i banchi di gesso hanno un assetto verticale. Sulla cima del colle (metri 190) sorge, sui resti di un posto di avvistamento fortificato molto più antico, il piccolo manufatto della Torre dell'Orologio. Dalla Torre civica si raggiunge agevolmente la Rocca attraverso una strada carrabile sterrata che corre a mezzacosta sui fianchi dell'impluvio del Rio della Valle. Il bacino imbrifero del Rio della Valle ha una superficie di una quindicina di ettari e si apre per la maggior parte nelle argille grigio-azzurre plioceniche, alle spalle di Brisighella. In occasione di piogge consistenti le acque del modesto corso d'acqua si gettano nella briglia a pozzo costruita a protezione del punto iniziale del tratto urbano, tombato, del Rio della Valle, che sottopassa il Teatro ed il Municipio, fiancheggia la via degli Asini ed infine si dirige verso il Lamone; normalmente ed in caso di precipitazioni modeste l'acqua scompare in un piccolo inghiottitoio nel gesso, 120 metri a nord del Teatro, ed evitata in profondità la briglia si immette nell'alveo coperto in un punto imprecisato sotto l'edificio del Municipio. L'odierna acuminata morfologia dei tre colli è in gran parte il risultato della secolare attività estrattiva condotta a ridosso del centro abitato. Ad esempio la parete del colle della Rocca aggettante sul Rio della Valle è in realtà un fronte di cava, come testimoniano anche i grossi blocchi abbandonati ai piedi del dirupo; i lavori furono sospesi dal Corpo Reale delle Miniere alla fine degli anni Venti quando, ormai asportata l'intera piazza d'armi del castello, l'escavazione aveva raggiunto il piede dei fortilizio minacciandone la stabilità. I medesimi rischi ha corso a più riprese la Torre dell'Orologio: tracce di cava sono ancor'oggi evidenti in particolare sul fianco orientale del colle sul quale sorge il manufatto. Di fronte alla cortina ovest della Rocca si trovano i Vecchi mulini del gesso della vecchia ed ultima famiglia di gessaroli brisighellesi, i Malpezzi; l'angusto edificio più vicino alla Rocca risale probabilmente alla fine del Settecento e fu attivo fino al 1956. La muratura della tettoia prospicente ]a strada ingloba le due macine sostituite,, nel 1907, da macchinari elettrici ancora conservati all'interno. Di fronte a questo "fornello" il mulino costruito nel 1926 e chiuso nel 1969. Non mancano, sotto la Rocca ed il vicino Santuario del Monticino antichi fornelli "di fortuna" dove piccoli quantitativi di gesso venivano arrostiti su fascine spesso di ginestra: si tratta di modesti sottoroccia ancora anneriti dalla fuliggine. La Rocca di Brisighella, il cui aspetto attuale è quello conferito dai lavori di adeguamento bellico effetttuati dalla Repubblica di Venezia tra il 1504 ed il 1509, è sede di un interessante Museo del Lavoro Contadino. Anche qui i banchi gessosi sono verticali. Poco più di duecento metri separano la Rocca dal Santuario della Beata Vergine del Monticino, costruito nel 1728 sul terzo colle. Dietro il Santuario si apre l'unica cava di gesso ancora attiva nel territorio brisighellese. L'escavazione del minerale ha prodotto una splendida sezione geologica: è ben visibile il contatto (in termine tecnico-geologico di tipo "trasgressivo") tra i banchi di gesso, inclinati verso la pianura, e le soprastanti argille grigio-azzurre plioceniche. A partire dall'agosto 1985 appena sotto la superficie di trasgressione, e pertanto sigillate dalle argille marine del Pliocene, sono state individuate numerose micro-cavità carsiche ricche di resti ossei ascrivibili ad oltre 30 specie di animali continentali (dal mastodonte all'oritteropo, dai pipistrelli alle antilopi), che vissero tra 5,5 e 5 milioni di anni fa su una primigenia Vena del Gesso, antenata di quella attuale, destinata di lì a breve ad essere sommersa dal mare. Camminando sulle argille che ricoprono il gesso e costeggiando verso ovest - a distanza di sicurezza (!) - il ciglio degli scavi si sale di quota e si può osservare dall'alto la valle cieca della Tana della Volpe, parzialmente occupata dalla discarica gradonata della cava. Si tratta di una vera e propria valle-dolina, ricordata dal geografo Olinto Marinelli nel suo lavoro del 1917 dedicato ai "Fenomeni carsici delle re gioni gessose d'Italia ", per molti aspetti, inclusa la superficie, gemella dell'adiacente bacino del Rio della Valle; le acque che scendono dai fianchi argillosi si riversano nei due inghiottitoi attivi del complesso carsico della Tana della Volpe, in posizione quasi centrale sul fondo dell'impluvio (m 189 s.l.m.). Il ramo principale del complesso attraversa da parte a parte il colle della Rocca. L'acqua della grotta alimen ta il Rio della Doccia che un tempo, al pari del Rio della Valle, incideva scorrendo a cielo aperto la conoide di Brisighella. Oggi alla antica risorgente (m 127 s.l.m.), ubicata a meno di 50 metri di distanza dal Municipio, si accede per mezzo di una apertura verticale chiusa da uno sportello metallico in vicolo Saletti, di fronte al numero civico 5. Al limite occidentale dell'area di cava si torna a camminare sul gesso. Lo sguardo spazia sulla spoglia fascia calanchiva che si perde verso la pia nura e la dorsale gessosa, pur non imponente come in altri punti della Vena, appare un isola ammantata di vegetazione contro la quale va a frangersi il grigio mare delle argille plio-pleistoceniche. Il sentiero si dipana tra boschetti, arbusteti e piccole radure; qui si aprono alcune delle "storiche" cavità a pozzo esplorate negli anni '34-'35 dal triesti no Giovanni Bertini Mornig, precursore-iniziatore della tradizione speleologica faentina: l'Abisso Casella (prof. m 40), l'Abisso Acquaviva ( prof. m 63), la Grotta Rosa Saviotti (prof. m 42). Nei pressi di Cà Marana, caratteristica abitazione rustica in blocchi di gesso, fu attiva tra il 1929 ed i primissimi anni '70 una cava-miniera nella quale l'e strazione del minerale avveniva sia a cielo aperto sia, nel secondo dopoguerra, in galleria. Le gallerie che puntano verso Cà Marana so no parzialmente crollate, originando un'ampia "dolina" artificiale: in migliori condizioni sono gli ambienti sotterranei nel settore occiden tale della cava anche se i pilastri di sostegno, di diametro piuttosto modesto ed in appoggio sull'interstrato argilloso che separa due ban chi di gesso, non offrono le migliori garanzie di sicurezza per il futu ro. Oltrepassata Ca' Marana il sentiero attraversa le case Varnello e si immette stilla strada provinciale Limisano-Monticino a fianco del Manicomio, edificio costruito ai primi del secolo così denominato a causa del "temperamento strano e quasi pazzoide di coloro che la co struirono e poi l'abitarono": ospita il ristorante "da Mario". Le case Varnello e la sottostante Villa Vezzati sorgono al limite occidentale dei Gessi di Brisighella, Lo spartiacque geomorfologico e quello carsi co non coincidono esattamente, infatti ai piedi del Manicomio e di Villa Vezzati si aprono i tre inghiottitoi principali del complesso carsi co della Tanaccia, che catturano e deviano al bacino del Lamone acque altrimenti destinate alla valle del Torrente Senio. A nord della S.P. Limisano-Monticino l'affioramento dei Gessi di Brisighella ha forma triangolare: ai due vertici di base, che hanno la medesima quota, si aprono gli inghiottitoi Biagi e Brussi (Villa Vezzati) ad ovest e l'ingresso del Buco del Noce ad est, in una profonda dolina caratteristicamente ad imbuto. Sul terzo vertice si trova, 70 metri più in basso (m 180 s.l.m.), la risorgente del complesso della Tanaccia. Percorrendo la strada asfaltata in direzione di Brisighella è possibile osservare, verso valle, numerose doline "pensili", una sorta di semidoline che danno all'affioramento gessoso nel quale si apre la Tanaccia un aspetto terrazzato. A trecento metri di distanza dal Manicomio si incontrano, uno di fronte all'altro, il piccolo parcheggio di servizio alla Tanaccia (sulla destra) e l'ingresso della Cava Marana (sulla sinistra). Poco oltre il parcheggio ha inizio il sentiero che conduce alla grotta: alla base della scarpata della strada è stato costruito un piccolo fabbricato, punto d'appoggio logistico per le visite guidate ai fenomeni carsici presenti in questo piccolo ma estremamente suggestivo parco. La strada provinciale evita con un'ampia curva la dolina del Buco del Noce (o Grotta Lina Benini, secondo Mornig); di facile accesso questa grotta è, in pratica, un unico imponente salone formatosi al contatto tra due banchi gessosi. Ora la strada corre sulle argille, come indica l'improvviso mutamento della copertura vegetale, ed aggira, in cresta, la valle cieca della Tana della Volpe. Alcuni tornanti e l'escursionista è nuovamente ai piedi del Castello. Da qui è possibile "tagliare" e scendere direttamente in paese, chiudendo un itinerario ad anello in un ambiente il cui indubbio fascino è anche frutto della secolare interazione uomo-ambiente. LA TANACCIA Gian Paolo Costa Tra le oltre cento grotte che si aprono nella dorsale della Vena del Gesso,, le cavità certo più note e famose sono, da est verso ovest, la Tanaccia (114 E/Ra) nei "Gessi di Brisighella" e la Tana del Re Tiberio (36 E/Ra) sulla parete orientale della "stretta" di Borgo Rivola. Come lasciano intuire le denominazioni, si tratta di due siti ricchi di un particolare fascino mutuato sia da aspetti paesaggistici e speleologici sia da testimonianze archeologiche che attestano una intensa frequentazione umana in epoca storica e preistorica. La Tanaccia, o meglio il complesso carsico della Tanaccia, è costituito da quattro "ambienti" significativamente diversi: a) la suggestiva caverna preistorica, nella quale Giovanni Mornig e Antonio Corbara nel 1935 e Renato Scarani negli anni 1955 - '56 effettuarono fruttuose prospezioni e scavi archeologici; b) i Buchi del Torrente Antico (115 E/Ra), paleocorso in parte ipogeo in parte a cielo aperto, che dalla caverna giunge fino alla attuale risorgente, perenne, del Complesso; c) il complesso ipogeo: percorribile a monte dell'ingresso, inaccessibile a valle; d) la galleria artificiale, lunga una sessantina di metri, realizzata nel 1989 per facilitare l'accesso ai rami ipogei. L'intero complesso ha uno sviluppo superiore ai 2 chilometri e vi scorre un torrente, pressoché asciutto nei periodi dell'anno caratterizzati da scarse precipitazioni. Per la presenza della Tanaccia, in quest'area lo spartiacque superficiale non coincide con quello carsico: infatti la grotta drena nella valle del Lamone acque altrimenti destinate alla valle dei Senio; le principali cavità-inghiottitoio si trovano sotto le case Varnello, un piccolo agglomerato localmente più noto come "Manicomio". I Buchi del Torrente Antico furono esplorati e rilevati da Giovanni Mornig, triestino, negli anni 1934-35. I rami ipogei del complesso sono stati scoperti il 10 maggio 1958 dagli speleologi faentini e da allora, a causa della relativamente facile accessibilità e percorribilità, sono meta ogni anno di numerose escursioni e visite guidate. Come tutte le grotte che si aprono in rocce gessose la Tanaccia è povera di concrezioni calcaree: il ridotto sviluppo di queste sovrastrutture se da un lato priva la grotta delle scintillanti trine che costituiscono l'attrazione delle più celebrate grotte turistiche, dall'altro consente interessanti osservazioni speleogenetiche e di morfologia carsica ipogea. Caratteristici i fenomeni erosivi alle pareti ed al tetto delle gallerie e delle sale. Tra queste ultime sono da segnalare le Sale delle Sabbie, ricche di pendenti di gesso (pseudo-stalattiti di erosione), il grande Salone di crollo, la Sala del Laghetto, parzialmente concrezionata, ed infine la Sala Piatta, prodotta in seguito ad un vasto "scollamento" di due banchi gessosi. La caverna della Tanaccia, come si è accennato, fu frequentata in epoca preistorica: fin dal tardo Eneolitico ma in particolare nel Bronzo antico (1850-1650 a.C.). In questo periodo il sito si caratterizza per una singolare convergenza delle correnti culturali toscana, lombarda e medioadriatica. La presenza umana in Tanaccia, probabilmente anche a causa dell'esposizione della grotta verso nord, fu prevalentemente legata a motivazioni cultuali: le tracce di utilizzo abitativo sono in subordine rispetto alle sepolture rinvenute. A questo proposito sono indicativi diversi boccali Polada trovati in giacitura primaria integri e capovolti. La caverna venne abbandonata intorno al XIII secolo a.C., quando si verificò, forse a seguito di peggioramenti climatici, il crollo parziale della volta. La Tanaccia ospita consistenti colonie di pipistrelli. Sono presenti tre Rinolofidi (Rhinolophus ferrumequinum, R. hipposideros ed il meno comune R. euryale) e un Vespertilionide (Miniopterus schreibersi). LA TANA DEL RE TIBERIO Gian Paolo Costa La Tana del Re Tiberio (36 E/Ra) è senza dubbio la grotta più nota della Vena del Gesso romagnola. La posizione scenografica, la leggenda che la vuole ultima dimora ed inutile protezione scelta dal Re Tiberio per fuggire un fato avverso ed, ancora, l'interesse archeologico della grotta, storicizzato dalle ricerche e dalle scoperte effettuate a più riprese nella seconda metà dell'Ottocento sono alcuni dei motivi che giustificano la meritata fama della Tana del Re Tiberio. Nonostante la maestosa rupe in destra Senio nella quale si apre la grotta sia stata deturpata dall'attività di cava ultratrentennale dell'ANIC di Ravenna, la grotta è tuttora integra e, da alcuni anni, in parte visitabile. Un impianto di illuminazione fisso consente di percorrere agevolmente la galleria iniziale, abbastanza ampia, per una quarantina di metri fino alla maestosa e singolare Sala Gotica. La Tana del Re Tiberio, che in realtà deriva il suo nome da una antica Pieve "in Tiberiaco" esistente a Monte Mauro già nel X secolo, è una risorgente fossile. La grotta funzionava come risorgente quando le acque del Torrente Senio scorrevano al medesimo livello dell'ingresso attuale e non avevano ancora inciso nella dorsale gessosa la cosiddetta "stretta di Rivola" per portarsi alla quota odierna, 85 metri più in basso. Appare persino plausibile, esaminando la morfologia ipogea, che la Tana (o parte di essa) sia stata per un certo lasso di tempo oppure a più riprese sommersa dalle acque fluviali. Mano a mano che procedeva l'escavazione del solco vallivo oggi esistente le acque sotterranee erano indotte a raggiungere i successivi nuovi livelli carsici di base attraverso vie più dirette: nel pavimento della grotta si aprono numerosi pozzi verticali "di ringiovanimento". Nel 1970 uno di questi, ubicato a breve distanza dall'ingresso e colmo di sedimento, è stato intercettato da una galleria mineraria che ne ha provocato lo svuotamento parziale. Nel materiale di riempimento franato ed in quello rimasto in posto, a 6,70 metri di profondità rispetto al piano di calpestio della grotta, sono stati raccolti resti ossei umani appartenenti ad almeno quattro individui e numerosi frammenti di terracotta. Come si è accennato, già nella seconda metà dell'Ottocento erano state individuate tracce consistenti di frequentazione umana in epoca preistorica e storica. La grotta, fu un "santuario" di culto delle acque localmente assai importante: sono stati rinvenuti a centinaia, ad esempio, vasetti di argilla miniaturizzati che in alcuni casi contenevano tracce di ocra rossa o oggettini bronzei, attribuibili all'età del Ferro ed interpretabili come offerte o ex-voto. La presenza umana, iniziata forse nell'Eneolitico, continua in epoca romana e medioevale (quando la grotta, data la particolare posizione, è ricovero di banditi e di falsari). All'ingresso della cavità, sulla destra (entrando), si trovano numerose nicchie artificiali di varie dimensioni ed almeno due "abbeveratoi" di epoca incerta, uno dei quali parzialmente distrutto in tempi recenti. La Tana del Re Tiberio si apre nell'area della Cava ANIC, pertanto la visita alla grotta deve essere concordata con la Direzione di quest'ultima. IL PARCO CARNE' Gian Paolo Costa Il Parco naturale attrezzato Carnè è un'area di proprietà pubblica di estremo interesse paesaggistico e naturalistico nei Gessi di Rontana e Castelnuovo. E' stato istituito nel 1973 dalla Provincia di Ravenna e dai Comuni di Brisighella e di Faenza, che lo amministrano attraverso un Comitato di gestione. Attualmente la superficie del Parco è di 43 ettari (i 26 originari ai quali vanno aggiunti 17 ettari in "comodato"). Nel territorio del Parco si aprono numerose cavità carsiche, per lo più a sviluppo prevalentemente verticale: tra queste gli abissi Fantini e Garibaldi, sotto il Monte di Rontana (cima panoramica pure di pertinenza del Parco), e, meno profondi, l'Abisso Carnè e l'Abisso Faenza. Il sottosuolo è attraversato da uno dei più articolati collettori ipogei della Vena del Gesso, solo in parte esplorato. Il paesaggio di superficie è modellato da un carsismo ugualmente intenso. Le doline si susseguono senza soluzione di continuità e non mancano altre forme di dissoluzione tra le quali spiccano splendide erosioni a candela. La copertura arborea può vantare la presenza, accanto ai consueti carpino nero, orniello e roverella, di specie più rare e di ecologia tra loro diversissima: l'acero minore, il tiglio selvatico e il raro borsolo. Il Parco prende il suo nome dalla casa che vi si trova, Ca' Carnè, appunto. In parte è recintato e, per questo motivo, ospita stabilmente un certo numero di daini. La casa è in grado di garantire un soddisfacente pernottamento ad una trentina di persone e vi è allestita una piccola sezione di documentazione didattica. Il Parco Carnè è facilmente raggiungibile da Brisighella: si imbocca la strada provinciale Limisano-Monticino e la si abbandona al bivio per Rontana (poche centinaia di metri oltre il "Manicomio"); oltrepassato lo stradello pedonale che conduceva alla cima del monte, alla croce panoramica, si raggiunge in breve una ampio parcheggio sterrato sulla sinistra. Lasciata l'auto si prosegue a piedi al margine della strada asfaltata fino all'imbocco del sentiero che sulla destra scende a Ca' Carnè, ben visibile già dalla strada stessa. Il Parco è fin dalla sua istituzione meta di escursionisti, visitatori domenicali e gite scolastiche: a seguito di recenti interventi di adeguamento della casa è possibile, per gruppi organizzati, risiedervi per più giorni. A questo proposito possono esser richieste informazioni allo 0546/81864 (Ca' Carnè) o allo 0546/81225 (Municipio di Brisighella). LA GROTTA DI ONFERNO Gian Paolo Costa Se la Vena del Gesso costituisce l'affioramento di gesso selenitico Messiniano più cospicuo e spettacolare in Romagna, altre emergenze gessose sono presenti sul territorio romagnolo, tra i fiumi Montone e Foglia. In uno di questi affioramenti "minori", ma naturalisticamente e paesaggisticamente assai pregevoli, situato nell'entroterra riccionese in Comune di Gemmano, si apre la Grotta di Onferno (456 E/FO). Dall'estate 1989 la grotta è aperta al pubblico e a tutto il 1991 è stata visitata da oltre trentamila persone. Onferno è una sorta di tunnel naturale di facile accesso attraverso i due ingressi ed altrettanto agevolmente percorribile (in ciò unica in Emilia-Romagna). Per rendere visitabile la grotta è stato sufficiente tracciare un camminamento e mettere in opera un paio di scale metalliche. Ovviamente si tratta di una escursione semi-speleologica: i "turisti" sono muniti di casco protettivo e forniti di torce elettriche. Alcuni punti luce interni vengono attivati temporaneamente dalle guide attraverso telecomando; ogni guida conduce di norma 12-14 visitatori. Il percorso turistico attuale prevede l'ingresso dal punto di risorgenza del torrentello che ha scavato la grotta, raggiungibile attraverso un suggestivo sentiero pedonale tracciato nel bosco a nord della antica Pieve di Santa Colomba dell'Inferno (oggi ristrutturata e in parte ricostruita) e l'uscita, dopo circa 400 metri di percorso sotterraneo, ai piedi della rupe di Onferno. La prima metà del sentiero ipogeo si sviluppa in una stretta galleria meandriforme, fra alte pareti sinuose, modellate e levigate dall'acqua nell'arco di migliaia di anni. Sono facilmente individuabili numerosi paleo-livelli di scorrimento, marcati da concavità c/o convessità aggettanti. In quanto a concrezioni calcaree la Grotta di Onferno non costituisce un'eccezione rispetto alla generalità delle grotte nel gesso, povere di simili elementi decorativi. Alcune "colate" calcaree, per altro di un bel colore giallo, drappeggiano le pareti della cavità nei pochi punti di stillicidio di acque percolanti. La seconda parte della grotta presenta una morfologia completamente diversa. Ambienti più ampi immettono nella vasta Sala Quarina: qui il sentiero si dipana tra grossi massi di gesso, sotto imponenti forme, mammellonari che "movimentano" il soffitto della sala. Due scale metalliche in successione permettono di salire senza problemi alla galleria di uscita, ad andamento sub-orizzontale. Si sbuca in superficie sotto l'incombente rupe, alta una quarantina di metri, sulla quale era edificato il Castello di Onferno. Una caverna che si apre nei pressi dell'uscita ospita un interessante impianto artigianale per la preparazione di gesso da presa, che fu attivo fino al secondo dopoguerra, consistente in due forni di cottura e in una macina in pietra che, imperniata al soffitto della spelonca, veniva azionata da un asino: una tecnologia all'avanguardia ... in epoca romana!! L'intero affioramento gessoso di Onferno, nel quale si apre la grotta, si trova in posizione "alloctona", cioè poggia, a seguito di traslazioni di natura geologico-tettonica, su terreni sedimentari di deposizione più recente. Onferno dista una trentina di chilometri da Rimini e si raggiunge dal casello autostradale Rimini Sud seguendo in successione le indicazioni stradali per Pesaro, Coriano e Gemmano. N.d.R, Il complesso carsico è stato tutelato dalla Regione Emilia-Romagna nel 1992 con l'istituzione della Riserva Naturale Orientata di Onferno, che si estende su una superficie di 123 ettari nel territorio del Comune di Gemmano, al quale è affidata la gestione; la sede amministrativa è presso il Municipio in via Roma, 1. Per informazioni e visite guidate ci si può rivolgere alle Cooperativa Grotta di Onferno, tel. 0541/984694. |
Fig. 32 - Caverna preistorica della Tanaccia (foto G.S.F., P.P. Biondi). |
Fig. 33 - Panorama del Parco Carnè con al centro Ca' Carnè. (foto G.S.F., G.P. Costa). |
Fig. 34 - Affioramento gessoso in cui si apre la Grotta di Onferno. (foto G.S.F., G.P. Costa). |
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Speleo GAM Mezzano (RA)