Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974
  

STORIA DELLE ESPLORAZIONI SPELEOLOGICHE E IDROLOGICHE DAI PRECURSORI AD OGGI

Luciano Bentini

Le prime notizie documentate relative ad una cavità naturale della Vena del Gesso romagnola si riferiscono alla Tana del Re Tiberio (36 E/Ra) nei pressi di Borgo Rivola: in un'opera edita a Bologna nel 1596, Diece libri delle historie della sua patria, Pompeo Vizani riferisce che nell'anno 1200 alcuni rivoltosi capeggiati da tale Alberto di Arardo Caporella (o Caparella) si impadronirono del Castello di Sassatello, dominio dei bolognesi. In seguito alla spedizione punitiva effettuata da questi ultimi, Alberto si rifugiò nella grotta che si apre nelle vicinanze; ma il podestà Rolando Rossi "quivi andò a trovarlo, e ponendo paglia e legne verdi all'entrata della spilonca, fece sì co foco e fumo che fù forzato Alberto di uscir fuora cò suoi compagni, che tutti furono de Bolognesi mandati a fil di spada...".

L'interesse scientifico ed esplorativo per i fenomeni carsici della Vena del Gesso si manifesta però a partire dall'inizio del nostro secolo; in precedenza, fin dalla metà dell'Ottocento, l'attenzione degli studiosi era stata polarizzata dalla Tana del Re Tiberio soprattutto a causa della sua importanza archeologica. Nel 1865 Tassinari, imolese, è il primo ad eseguire scavi regolari; nello stesso anno Zauli Naldi, faentino, pratica un piccolo saggio nei pressi dell'imboccatura, esponendo i risultati delle sue ricerche in un opuscolo stampato a Faenza nel 1869; infine nel 1872 viene edito il fondamentale lavoro sugli scavi condotti nel 1870 dal grande naturalista imolese Scarabelli, che già nel 1851 aveva data alle stampe un lavoro di carattere geologico nel quale vi è anche una breve descrizione delle cavità, giudicata molto vasta e pittoresca.

Le prime notizie relative ai fenomeni carsici nei Gessi di Brisighella si devono invece al Metelli, che li descrive brevemente nel primo volume della sua monumentale Storia di Brisighella e della Valle di Amone , edita in Faenza nel 1869.

Si deve però giungere ai primi anni del Novecento per vere e proprie esplorazioni di carattere speleologico: ne sono protagonisti De Gasperi e Marinelli, che pubblicano i risultati delle loro ricerche, condotte sia individualmente che in collaborazione, tra il 1905 e il 1917: sono oggetto di indagini la Tana del Re Tiberio, la Grotticella presso Cà Pedriolo (ora nota come Grotta dei Banditi o dei Partigiani: .384 E/Ra), l'Inghiottitoio del Rio Stella (385 E/Ra), l'Inghiottitoio poi intitolato a De Gasperi (397 E/Ra), i "trabuchi" di Brisighella, tra i quali sembra identificabile la Tana della Volpe (102 E/Ra) e i "buchi" di Rivola, particolarmente in località Sassatello.

Va comunque citato un precursore dei due illustri geografi, l'ing. Umberto Maioli di Ravenna, che in una lettera indirizzata a Zangheri, da quest'ultimo pubblicata nel 1931 su "La Pié", riferisce di una esplorazione della Tana del Re Tiberio risalente al 1899, nel corso della quale aveva effettuato quello che probabilmente è il primo rilievo topografico della cavità. La presunta maggiore estensione rivendicata al suo rilievo dal Maioli rispetto a quello del De Gasperi, riprodotto l'anno precedente da Zangheri, non trae però in inganno quest'ultimo: " Confrontando gli sviluppi ottenuti dall'uno e dall'altro si deve peraltro concludere che l'Ing. Maioli non può essersi spinto che pochi metri al di là del De Gasperi".

Dopo una lunga stasi imposta dalle vicende della prima guerra mondiale, nel 1934 si apre un nuovo importante capitolo quando Giovanni Bertini Mornig, giovane speleologo triestino, inizia una sistematica esplorazione delle cavità dei Gessi di Brisighella, pressoché sconosciute. E' in contatto con Luigi Fantini, a quell'epoca presidente ed animatore del Gruppo Speleologico del C.A.I. di Bologna, ed inizia alla speleologia alcuni appassionati faentini e brisighellesi, dai quali viene poi costituita presso il R. Liceo-Ginnasio "E. Torricelli' di Faenza la Società Speleologica Romagnola (1935) antesiniana del Gruppo Speleologico Faentino; ma per lo più compie le sue ricerche da solo e considerando l'attrezzatura disponibile allora si tratta di imprese veramente rimarchevoli. Si vanta del soprannome "Corsaro" (col quale spesso si firma), affibbiatogli per il fatto che nelle sue giovanili uscite sul Carso porta in testa un fazzolettone nero; e in Romagna il suo cognome verrà spesso storpiato significativamente in "Morgan". Dai contadini, ai quali chiede informazioni sulle "tane" durante le sue battute sui gessi con lo zaino in spalla, una matassa di corda a tracolla e un grosso rotolo di scalette d'acciaio in mano, gli verrà imposto invece il nominolo di "om selvadig".

Tra il giugno 1934 e l'aprile 1935 Mornig esplora una cinquantina di grotte, prevalentemente in territorio di Brisighella, ma con puntate a Monte Mauro e fino ad oltre il Senio; di molte di esse esegue il rilievo topografico - ed in alcuni casi plastici tridimensionali costruiti con ingegnosi accorgimenti - compilando inoltre le schede catastali del R. Istituto Italiano di Speleologia di Postumia. Gran parte di tale lavoro si è fortunosamente salvata malgrado gli eventi bellici ed ha permesso, dalla metà degli anni '50, di controllare e riprendere il lavoro da lui iniziato.

Lo speleologo triestino descrive le sue esplorazioni e scoperte in numerosi articoli apparsi su "Il Resto del Carlino" e sul "Corriere Padano" che, malgrado il tono romantico e qualche esagerazione, sono ancor oggi una preziosa fonte di notizie. Inedito resta invece il lavoro di sintesi Grotte di Romagna, rielaborato nel dopoguerra (1957) [Il volume è stato pubblicato nel 1995 a cura della Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia Romagna, n.d.r.], dopo il suo ritorno dall'Africa, ove si era recato nel 1935, mentre alcune grotte della Vena del Gesso vengono descritte in Fascino di Abissi, pubblicato a Trieste nel 1946: tra esse grande rilievo viene dato alla cavità che per quasi cinquanta anni ha detenuto il primato di profondità nella nostra regione, l'Abisso Luigi Fantini (121 E/Ra), intitolato all'amico che nel 1933 aveva salvato Mornig da una critica situazione nella Spipola, causata da un incidente che avrebbe potuto avere esito fatale. D'altronde tra i due grandi pionieri della speleologia in Emilia-Romagna vi fu sempre stretta collaborazione; proprio a Fantini si devono tra l'altro le splendide foto dei più spettacolari ambienti sotterranei dei Gessi romagnoli.

Non è possibile in questa sede fornire l'elenco completo delle grotte esplorate da Mornig, ma almeno un cenno va fatto sui tentativi di risolvere i problemi idrologici rappresentati dai corsi d'acqua ipogei. In quest'ottica sono da valutare le indagini svolte in cavità assorbenti da lui solo parzialmente conosciute, quali i Buchi della Volpe (102 E/Ra) presso il Monticino e le grotte Biagi (116 E/Ra) e Brussi (380 E/Ra), dove scompaiono le acque che scendono dalle pendici settentrionali del Monte di Rontana: Mornig intuì che tali acque sono le stesse che tornano a giorno ad oltre 1 chilometro di distanza, tramite la risorgente perenne ubicata in corrispondenza del contatto gesso-argille a valle dei Buchi del Torrente Antico (115 E/Ra), paleocorso in parte ipogeo ed in parte a cielo aperto, che si sviluppa a partire dai livelli inferiori della caverna iniziale della Tanaccia (114 E/Ra), la sola parte del vasto complesso omonimo da lui conosciuta.

Ed ancora la Grotta Risorgente del Rio Cavinale (457 E/Ra), ai piedi della rupe di Castelnuovo; Mornig l'aveva risalita fino ad una bassissima fenditura orizzontale, da dove sgorgano le acque che, sappiamo oggi, sono le stesse dell'Abisso Fantini. Ostinato e profetico, nella convinzione che la grotta doveva proseguire nel cuore della montagna, cercò in tutti i modi di raggiungere il torrente sotterraneo al di là della fessura suddetta, calandosi in tutti gli inghiottitoi che crivellano le doline sopra Castelnuovo; scoprì ed esplorò ben sedici grotte, ma nessuna lo portò fino all'acqua. "Purtroppo ", concludeva con una punta di amarezza nel suo Grotte di Romagna, "il rilevamento dei corsi d'acqua sotterranei che si doveva iniziare nel secondo semestre del 1935, in collaborazione con il Consorzio Bacini Montani, non potè esser portato a termine... Ancor oggi, da quanto mi risulta, il problema idrologico è insoluto".

Infine, una scoperta di grande rilievo dello speleologo triestino è il riconoscimento, nel marzo del 1935, che l'ampia caverna iniziale della Tanaccia era stata utilizzata in età preistorica: i primi sondaggi da lui iniziati con il dott. Stefano Acquaviva e proseguiti poi dal dott. Antonio Corbara, portarono in luce vari reperti tra cui tre boccaletti integri attribuibili alla prima età del Bronzo. Premessa agli scavi ufficiali degli anni 1955-56 effettuati da Scarani (1960) su incarico della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna, che tanto avrebbero contribuito alla fama della caverna romagnola.

Dopo la partenza di Mornig, per l'Africa le ricerche nella Vena del Gesso hanno una drastica battuta d'arresto, particolarmente durante la II Guerra Mondiale, fino a quando tra il 1953 e il 1955 il Gruppo Grotte 'Pellegrino Strobel" di Parma svolge alcune campagne esplorative nelle aree di Monte della Volpe e di Monte del Casino, nel corso delle quali vengono rinvenute diverse nuove cavità, fra le quali le più notevoli sono indubbiamente la Grotta Sorgente del Rio Basino (372 E/Ra), il cui corso d'acqua ipogeo viene risalito per circa 400 metri (Frattini, 1954) e l'inghiottitoio presso Ca' Poggio (375 E/Ra) (Frattini et al., 1961).

Nel 1956 nascono quasi contemporaneamente a Faenza due gruppi speleologici, il "Città di Faenza" e il "Vampiro", che si fondono nel 1966 dando origine al Gruppo Speleologico Faentino. Ai loro esordi le due associazioni prendono contatto con Mornig, che per tre estati consecutive, dal 1955 al 1957, torna in Romagna nella speranza di poter riprendere il lavoro interrotto 20 anni prima. Ma l'ambiente e la gente sono cambiati e le traversie hanno lasciato il segno intaccando il fisico e lo spirito entusiasta del vecchio "Corsaro", che solo dai giovani speleologi faentini ottiene collaborazione. Si ha così un vero e proprio passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova generazione, che raccoglie l'ereditá della Società Speleologica Romagnola.

Tra il 1956 e il 1970 il G.S. Faentino affronta esplorazioni, ricerche e studi sempre più impegnativi e sistematici, i cui risultati sono oggetto di specifiche monografie e lavori di sintesi, fra cui Le cavità naturali della Vena del Gesso tra i fiumi Lamone e Senio, edito nel 1964. Di questa prima fase, limitandoci alle tappe più significative, viene data una breve sintesi suddividendo le grotte e i complessi carsici in base agli affioramenti che costituiscono la Vena del Gesso tra Lamone a E-SE e Santerno a O-NO.

Gessi di Brisighella

Esplorazione e rilievo di tutti i rami della Tana della Volpe fino al sifone che ne costituì il limite estremo (superato solo agli inizi degli anni '80), con uno sviluppo complessivo di poco meno di 800 metri ed un dislivello di 62.43 metri (Costa & Evilio, 1983).

Scoperta del grande complesso ipogeo della Tanaccia e collegamento dello stesso, mediante disostruzione di due ostiche strettoie, con il collettore drenante le acque delle cavità assorbenti che si aprono sotto Ca' Varnello (1958), per uno sviluppo complessivo di oltre 2000 metri (Costa & Evilio, 1987a).

Gessi di Rontana e Castelnuovo

Prima esplorazione nell'Abisso Fantini della "via ignota" (1956), che, come la "via normale", attraverso una serie di pozzi giunge alla profondità di metri 65 e si innesta nel collettore suborizzontale comune ad entrambe dopo la strettoia dalla tipica morfologia a condotta forzata nota come "passaggio della penitenza". La profondità totale dell'Abisso, dopo l'accurata revisione strumentale del 1983, risulterà di metri 101 (e non 118 come dal precedente rilievo del G.S. F., e tanto meno 156 come valutata da Mornig) (Costa & Evilio, 1987b).

Scavo nella grande frana che nel 1940 aveva interessato la rupe di Castelnuovo, ostruendo l'ingresso della Grotta Risorgente del Rio Cavinale (1965): in tal modo è nuovamente accessibile il corso d'acqua sotterraneo ed è possibile riprendere le ricerche iniziate da Mornig. Scoperta e prima esplorazione dell'Abisso Carné (376 E/Ra) (1956), alla quale partecipa lo stesso Mornig, e successivamente dell'Abisso Faenza (399 E/Ra).

Gessi di Monte Mauro - Monte della Volpe

Dal 1957 inizia l'esplorazione della Grotta Sorgente del Rio Basino, oltre il limite raggiunto dallo "Strobel": superando numerose frane e tratti allagati, vengono rilevati 1009 metri di gallerie; nel contempo viene individuata la via di accesso al corso sotterraneo del Rio Stella, del quale vengono percorsi 453 metri. Ma soltanto nel 1964 viene superato il diaframma tra le due cavità, rappresentato da un'ennesima ciclopica frana (Bentini et al., 1965).

Gessi di Sasso Letroso - Monte del Casino - Tossignano

In questo settore opera nel biennio 1960-61 il CERIG (Centro Emiliano Ricerche Idro-Geologiche) di Bologna, rivedendo le grotte già conosciute dello "Strobel" e compiendo la prima esplorazione della Risorgente del Rio Gambellaro (123 E/Ra). I dati raccolti sull'idrologia sotterranea portano il CERIG a formulare l'ipotesi che tutti gli inghiottitoi sulla direttrice Ca' Budrio - Ca' Siepe - Ca' Poggio siano cavità assorbenti di un unico complesso le cui acque tornano a giorno dalla Risorgente del Rio Gambellaro (Gallingani, 1965).

Quasi contemporaneamente intraprende ricerche nella stessa area il Gruppo Speleologico Faentino, eseguendo rilievi più accurati, in base ai quali nasce il fondato dubbio che l'inghiottitoio presso Ca' Poggio sia invece una grotta che nulla ha a che vedere con tale supposto complesso (Bentini, 1976).

Ma dovranno passare altri due decenni prima che vengano intraprese nuove sistematiche e impegnative esplorazioni, tuttora in corso, per risolvere i problemi aperti.

Da segnalare inoltre l'attività svolta dagli imolesi della Ronda Speleologica AKU-AKU, fondata nel 1963 (l'attuale denominazione è Ronda Speleologica Imolese C.A.I..), che porta tra l'altro alla scoperta e al rilevamento di alcune nuove cavità nell'area delle Banzole, sulla destra idrografica del Rio Sgarba.

Gli anni '70 vedono un rallentamento delle ricerche nella Vena del Gesso soprattutto perché il Gruppo Speleologico Faentino è impegnato in spedizioni extraregionali e solo i tempi morti sono dedicati alle grotte di casa.

Di questo decennio si fornisce pertanto un sintetico quadro globale. Le novità più importanti si hanno nell'area di Monte del Casino, dove viene in parte risolto l'annoso problema delle acque circolanti nelle sue grotte. Mediante prove di tracciamento effettuate dal Gruppo Speleologico Faentino nel 1972 e nel 1975 (Bandini et al., 1976) viene accertato che le acque che scaturiscono dall'impraticabile strettoia di quota 159 della Risorgente del Rio Gambellaro sono le stesse che alimentano le cascatelle in destra idrografica e che tali acque provengono non dall'inghiottitoio presso Ca' Poggio, ma dalla sorgente perenne di quota 192 a NE dell'inghiottitoio stesso, il quale inoltre si sviluppa fino ad una profondità ben maggiore (circa 30 m).

Resta invece ancora ignota l'area costituente il bacino di alimentazione del sifone di quota 157 della risorgente, malgrado i modesti avanzamenti in esso compiuti dagli speleosub imolesi nel 1968 (Lanzoni, 1974) e bolognesi dell'USB nel 1972 (Gallingani & Gnani, 1972) e nel 1973 (Pavanello, 1974).

Anche a Castelnuovo il Gruppo Speleologico Faentino fa qualche sporadico tentativo di venire a capo del problema dell'origine delle acque del Rio Cavinale: ad esempio il 14 marzo 1974 vengono immessi nell'inghiottitoio a NE di Ca' Piante' (458 E/Ra) granuli di materiale plastico, ma essi verranno trovati nell'Abisso Mornig (119 E/Ra) solo nel 1985. L'anno successivo viene individuato il pozzo a S di Ca' Gesso (529 E/Ra) dal quale viene svuotato il riempimento (che per i reperti bellici contenuti si rivela in gran parte recente) nel tentativo di superare dall'alto la strettoia del Cavinale, ma a modesta profondità il vacuo si restringe a tal punto da smorzare ogni velleità di insistere.

Poche e di importanza poco rilevante sono poi le nuove grotte rinvenute, quasi sempre in seguito a disostruzione degli ingressi: si segnalano comunque l'Abisso Acquaviva (520 E/Ra) nei Gessi di Brisighella (Biondi & Leoncavallo, 1972) e la grotta sotto Ca' Castellina (521 E/Ra) a Monte Mauro (G. S. Faentino, 1972) esplorate dai faentini e alcune grotticelle scoperte a Monte Mauro dallo Speleo Club Forlì C.A.I., costituitosi nel 1969 (S. C. Forlì, 1972).

Nel decennio in esame vengono fatte però scoperte rilevanti di carattere archeologico, da parte del Gruppo Speleologico Faentino, nella Tana del Re Tiberio e nella Grotta dei Banditi (384 E/Ra) a Monte Mauro. Nella prima vengono rinvenuti, nel 1970, resti osteologici appartenenti ad almeno quattro individui in un livello antropico contenente anche i resti di ceramica riferibili all'eneolitico finale-bronzo antico (Bentini, 1972, Facchini, 1972). Nella seconda, il saggio di scavo effettuato nel 1973 ha fornito elementi tali da concludere che essa è stata utilizzata come abitazione per un lunghissimo arco di tempo ad iniziare dall'antica età del Bronzo: infatti dal piano attuale fino a circa 3 metri di profondità è stata rinvenuta una serie ininterrotta di focolari con cumuli di cenere, ossa combuste e vasellame di ceramica per lo più di rozzo impasto, annerito dal fuoco e spezzatosi per l'uso (Bentini, 1978; Bentini in stampa).

Dall'inizio degli anni '80 v'è una rinascita di interesse per la Vena del Gesso: i gruppi romagnoli che vi operano si dedicano ad un'intensa e sistematica attività di perlustrazione, disostruzione ed esplorazione di tutti i buchi e fratture giudicati in precedenza insignificanti o perché di dimensioni esigue o perché intasati da potenti riempimenti di origine naturale o antropica. Ci si rende conto che per ottenere risultati significativi non è sufficiente limitarsi a scavi epidermici, ma è necessario un lavoro continuo in profondità per accedere ai sistemi carsici sotterranei supposti ma ancora ignoti, che una volta individuati bisogna spesso allargare dove strettoie e fenditure sembrano precludere ogni possibilità di avanzamento. Un considerevole impulso a questo tipo di ricerche viene dallo Speleo G.A.M. Mezzano, costituitosi attorno al 1985 che, con l'entusiasmo dei neofiti, inizia una frenetica attività ben presto coronata dalla scoperta di nuove importanti grotte, cosa che innesca una vera e propria gara di emulazione da parte dei faentini e imolesi. Ma anche in precedenza erano stati ottenuti risultati di grandissimo interesse.

Nei Gessi di Brisighella il Gruppo Speleologico Faentino riesce a collegare (1982) la fangosa strettoia della Tana della Volpe con la sua sorgente, individuata mediante prove con traccianti. Quest'ultima è ubicata in pieno centro storico di Brisighella, ma è attualmente chiusa da un battente metallico che ne nasconde l'accesso; il corso delle acque, il cui livello viene abbassato artificialmente, viene risalito con attrezzatura subacquea percorrendo un bassissimo cunicolo lungo 56 metri fino al punto a monte ove in precedenza si erano arrestate tutte le esplorazioni (Costa & Evilio, 1983: Costa & Bentini, in stampa).

Nell'area gravitante sulla Tanaccia viene scoperta, previa la solita opera di disostruzione, la Grotta di Alien (578 E/Ra), una delle più disagevoli cavità della Vena del Gesso per le strettoie che la caratterizzano, profonda 70 metri e percorsa nei rami terminali da rigagnoli che con estrema probabilità confluiscono nella Tanaccia, in un punto imprecisato del tratto che separa i "rami bassi" di quest'ultima dalla risorgente (Costa et al., 1985a).

Nei Gessi di Rontana e di Castelnuovo, ancora ad opera del Gruppo Speleologico Faentino, vengono aperti nel 1985 gli abissi G. Mornig (119 E/Ra) e P. Peroni (627 E/Ra). Il primo, precedentemente noto come Buco del Gatto, sembrava precludere ogni possibilità di ulteriore discesa alla modesta profondità di 18 metri: oggi raggiunge, con un dislivello di 71 metri, il corso ipogeo del Rio Cavinale, nel quale confluiscono altri due corsi d'acqua secondari, uno dei quali - come hanno dimostrato le prove con i tracciati del 21 febbraio 1985 - proveniente dall'inghiottitoio a NE di Ca' Piante'. Il secondo, in cui è stata raggiunta la profondità di metri 52 immette anch'esso nel Rio Cavinale in un tratto intermedio tra la cavità omonima e l'Abisso Mornig; lo sviluppo attualmente noto è di circa 600 metri. Dai rilievi effettuati e dalla morfologia pressoché identica dei loro terminali, si desume che alla congiunzione materiale Risorgente - Peroni mancano solo pochi centimetri, come dimostrato del resto dal collegamento "a vista" effettuato successivamente (aa. vv., 1987).

Le esplorazioni, sebbene parziali, hanno dunque permesso di provare che gli inghiottitoi ed i punti assorbenti dislocati a quote via via decrescenti lungo la direttrice Carnè-Piantè-Castelnuovo fanno parte di un unico sistema, che costituisce per la Vena del Gesso il solo esempio di collettore raggiungibile in tratti diversi del suo percorso attraverso grotte a pozzo. Tale sistema che, sebbene non completamente percorribile, ha un dislivello di 142 metri, fa parte di un sistema molto più vasto: infatti la colorazione delle acque dell'Abisso Fantini, effettuata dal G.S.F. il 2-3 marzo del 1986, ha confermato l'ipotesi che esse tornino a giorno tramite la Grotta Risorgente del Rio Cavinale. Quest'ultimo costituisce pertanto il terminale unico, o quanto meno principale, collettore drenante tutte le acque dei Gessi di Rontana e Castelnuovo, di cui l'Abisso Fantini è la cavità assorbente posta a quota più elevata (metri 428), con un dislivello di ben 285 metri rispetto alla risorgente (Bentini et al., 1985).

A Monte Rontana grosse novità vengono ad opera dello S.G.A.M.; nel 1988 i mezzanesi, allargata la stretta diaclasi che sembrava chiudere a modesta profondità la grotta a N dell'Abisso Fantini (ora Abisso Garibaldi, 528 E/Ra) pervengono in una galleria fossile che si sviluppa per circa 400 metri fino ad intercettare un torrentello. Per seguire il corso delle acque viene scavato l'alveo di uno stretto cunicolo lungo circa 70 metri, realizzando in tal modo il collegamento con l'Abisso Fantini in corrispondenza del punto ove in quest'ultimo le acque sgorgano da una fessura intasata da sassi. Lo sviluppo spaziale è di 520 metri e la profondità di 74.

L'anno successivo lo Speleo G.A.M. forza anche la fessura "impraticabile" ove si perdono le acque del Fantini, cosa che permette di esplorare oltre 200 metri di gallerie fino a dove l'acqua si perde nuovamente tra sassi in frana. Il nuovo terminale è posto alla base di una serie di pozzetti, risaliti i quali si perviene in un meandro che si sviluppa per un centinaio di metri con 41 di dislivello, chiudendo in una strettoia ove però circola aria. Complessivamente i nuovi rami hanno uno sviluppo di 350 metri ed una profondità di 19, approfondendo così l'Abisso Fantini fino a 120 metri (Sansavini, 1990).

A Monte Mauro ancora i mezzanesi scoprono diverse nuove grotte, tra le quali si segnalano la Grotta Nera presso Ca' Roccale (690 E/Ra) e gli abissi Babilonia (670 E/Ra) (Speleo G.A.M. Mezzano, 1988), e Ravenna (705 E/Ra), profondi rispettivamente 93 e 76 metri e superano il vecchio fondo del Pozzo 1 presso Ca' Monti (390 E/Ra), che da -20 passa a -80 metri; a Monte della Volpe successivamente (1991) esplorano l'Abisso Mezzano (725 R/Ra), che tocca la profondità di metri 139, e che è intercettato alla base da una galleria della Cava ANIC. In questo settore della Vena del Gesso la più grossa novità è rappresentata però dall'Abisso F10 le cui prime esplorazioni, svolte dal G.S. Faentino, risalgono al novembre 1990, ma sono tuttora in corso: per questo motivo si possono solo dare qui pochi e sintetici dati. Si tratta di una grotta estremamente difficoltosa per le fangose strettoie, i pozzi iniziali, i meandri e i crepacci che bisogna superare prima di accedere alle grandi gallerie che si sviluppano nella parte più profonda; da quota -100 circa la cavità è percorsa da un torrentello che poi scompare in un laminatoio ("vecchio fondo" a -182 metri). Le successive esplorazioni superano l'ostacolo percorrendo gallerie e meandri a quote più elevate, fino a ché si perviene alla base di un pozzo dalla cui sommità precipita una cascata. Si tratta probabilmente dello stesso corso d'acqua seguito sino a quota -182; la portata però è visibilmente superiore, per cui si ipotizza l'apporto di un affluente ancora sconosciuto. E stato accertato invece, mediante prove di tracciamento eseguite il 14 e 15 ottobre 1991 in concomitanza di una delle esplorazioni più impegnative, che le acque canalizzate dello F10 alimentano le cascatelle poste in destra idrografica del corso ipogeo del Rio Basino, risolvendo così finalmente uno dei problemi idrologici che da vari decenni rappresentava un vero e proprio rompicapo. Sebbene il collegamento materiale non sia ancora avvenuto, dal rilievo eseguito risulta che il diaframma da superare è di entità non rilevante.

La profondità raggiunta nel nuovo abisso è di 210 metri (la massima in tutto il mondo in un affioramento gessoso), con la realistica probabilità di toccare quota -241, e lo sviluppo attualmente noto si aggira intorno ai due chilometri, destinato anch'esso ad aumentare considerevolmente sia perché sono ancora da esplorare vari rami, sia perché sul fondo delle doline che crivellano i Gessi di Monte Mauro - Monte della Volpe si celano cavità assorbenti, molte delle quali sicuramente connesse al sistema. Oltre ad alcuni inghiottitoi già individuati del Gruppo Speleologico Faentino, si segnala la grotta a SE di Ca' Faggia (539 E/Ra), scoperta e catastata fino a -56 metri dallo Speleo Club Forlì e approfondita (1990) dallo S.G.A.M. fino a -120 metri, ove un'esigua fessura è interessata da circolazione d'aria.

Irrisolto resta invece il problema del sifone posto in sinistra idrografica le cui acque, che fuoriescono in pressione anche nei mesi di più scarse precipitazioni, postulano un vasto bacino imbrifero il cui spartiacque è ipotizzabile immediatamente a O dei Crivellari. E' noto che il maggior concorso alle acque che tornano a giorno dalla Grotta Sorgente del Rio Basino è fornita dai due affluenti, la cui portata complessiva è più che tripla rispetto a quella del corso convenzionalmente definito "principale". Ma solo le acque del sifone (che non si intorbidiscono mai) defluiscono perennemente e la loro portata è pressoché costante (Bentini et al., 1965).

Nell'autunno 1990, anno caratterizzato da estrema siccità, si è riscontrato che l'unico apporto al corso ipogeo del Rio Basino era fornito dal sifone; sia la cascatella che il collettore mediano erano invece completamente in secca. Da parte di speleo-sub imolesi sono stati fatti vari tentativi di superare l'ostacolo, ma finora nessuno è stato coronato da successo: limitandoci ai più recenti, ricordiamo quello del 23 giugno 1984, quando la sagola misurò una profondità di 10 metri in corrispondenza di una fenditura (Baldini, 1985), ed uno del 28 dicembre 1991, nel corso del quale si è appurato che il sifone si dirama e sono stati percorsi 20 metri fino metri 11 di profondità.

Nei Gessi di Monte del Casino viene scoperta dagli imolesi nel 1981 la Grotta E. Lanzoni (619 E/Ra); nell'agosto 1984 viene disostruito dal Gruppo Speleologico Faentino l'Abisso A. Lusa (620 E/Ra), che si apre nella sella di Ca' Budrio in prossimità della cresta della dorsale: si sviluppa per 470 metri raggiungendo la profondità di 116, ove scompaiono in un sifone le acque dei rigagnolo temporaneo che si incontra a quasi 50 metri di profondità. Un altro importante ramo attivo inizia a quota -100, percorso anch'esso da un modesto corso d'acqua, fino al terminale in frana posto alla profondità di 108 metri (Costa et al., 1985b). Nel 1991 gli imolesi hanno forzato il sifone terminale proseguendo dapprima fino a circa -150 metri in corrispondenza di un nuovo tratto allagato, superato il quale hanno collegato l'abisso con l'inghiottitoio a O di Ca' Siepe (365 E/Ra).

In precedenza, nel dicembre 1990 la Ronda Speleologica Imolese C.A.I. aveva iniziato la disostruzione di quest'ultimo di cui era noto solo il primissimo tratto, chiuso a quota -20 da un tappo di argilla e detriti che sembrava insormontabile. Superata tale occlusione, vennero esplorate varie diramazioni che si sviluppano per 1800 metri: la grotta si sviluppa con alternanze di strettoie e di pozzi fino a circa 120 metri di profondità, ove inizia una galleria in forte pendenza nel cui tratto terminale si incontra un corso d'acqua, percorribile sia a monte che a valle, che scorre in direzione O, cioè verso il Rio Gambellaro; tratti allagati hanno bloccato però l'ulteriore discesa dapprima alla profondità di metri 159 e poi di 164.

Il dislivello complessivo delle due cavità è ora di metri 206 e lo sviluppo di metri 2500. La prospettiva è di collegare il complesso Abisso-Inghiottitoio al Gambellaro, con un dislivello teorico di 255 metri (Garelli, 1991).

Anche nella risorgente nel 1991 gli imolesi hanno ripreso infatti le esplorazioni subacquee, previa disostruzione dei detriti accumulatisi negli ultimi 20 anni: sono stati risaliti circa 30 metri oltre il sifone stesso, ma un nuovo tratto allagato ha bloccato ancora una volta ogni possibilità di prosecuzione.

A conclusione di queste note si ritiene opportuno mettere in evidenza il dato che emerge in seguito alle esplorazioni della Vena del Gesso ad iniziare dalla metà degli anni '80: la massima profondità raggiungibile nei grandi complessi ipogei che vi si sviluppano è più che il doppio rispetto a quanto concordemente pensato in precedenza, quando il limite dei 120 metri sembrava invalicabile. Lo testimoniano i 241 metri che si potranno probabilmente toccare nel sistema F10-Basino, i 255 metri teorici del sistema di Monte del Casino ed i ben 285 metri del complesso Fantini-Cavinale, anche se in questo caso le possibilità di un collegamento materiale sono da ritenere pressoché nulle.

Oggi, comunque, alle soglie di un nuovo millennio una nuova e persino più impegnativa sfida attende gli speleologi che hanno esplorato il "dark side" della Vena del Gesso: proteggere questo mondo nascosto che proprio le loro esplorazioni hanno rivelato splendido ma al contempo delicatissimo.

   
Fig. 30 Fig. 31    
  
Fig. 30 - Particolare della Carta carsica originale disegnata da Mornig nel 1935. (Archivio del G.S.B. - U.S.B.)
Fig. 31 - Sezione e pianta della Grotta del Re Tiberio.

Speleo GAM Mezzano (RA)