|
||
Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974 | ||
9 ESPERIENZE DI PIANIFICAZIONE Paola Altobelli La rilevanza scientifica, culturale e paesaggistica del sistema di affioramenti gessoso-solfiferi presente in Emilia Romagna, così riccamente documentata nell'ambito di questo testo, ha spinto, da ormai lungo tempo, le forze socio-culturali più sensibili ai temi ambientali a richiederne la tutela, per conservare questo patrimonio sottraendolo ai fenomeni di sfruttamento generalizzato e restituendolo dall'interesse pubblico. Questa volontà sociale, nonostante abbia incontrato notevole opposizioni, è riuscita a stimolare l'assunzione di scelte politico-amministrative di salvaguardia ambientale, sia a livello regionale che locale. Alla fine degli anni Ottanta infatti una serie di strumenti di pianificazione e di programmazione hanno previsto diverse forme di salvaguardia ambientale per queste aree: il Piano Territoriale Paesistico Regionale le individua come aree di "tutela naturalistica" (ad elevato grado di vincolo) inserite all'interno di più vaste aree "di particolare interesse paesaggistico-ambientale", mentre la legge quadro sui parchi regionali (L.R. 2/4/1988 n. 11) stabilisce che le due principali emergenze naturali del sistema di affioramenti gessoso-solfiferi della regione, i Gessi bolognesi e la Vena del Gesso dell'Appennino Romagnolo, dovranno essere protette e, al tempo stesso, valorizzate attraverso la realizzazione di due parchi naturali. Attualmente, tuttavia, lo stadio di maturazione delle due iniziative è molto differente. Infatti, pur essendo state promosse contemporaneamente dal primo Programma dei parchi regionali, nel 1980, il Parco dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell'Abbadessa è stato formalmente istituito, ha un proprio Consorzio di Gestione ed un Piano Territoriale adottato (1) in corso di approvazione; il Parco della Vena del Gesso, invece, è attualmente ancora una proposta sulla cui vigono unicamente alcuni vincoli generali a carattere difensivo e non propositivo dettati dal Piano Territoriale Paesistico Regionale. E' assai interessante esaminare cosa è accaduto, in ciascuno dei due casi, nel corso degli anni Ottanta, per conoscere l'evoluzione delle due iniziative, ed anche per considerare i diversi ruoli giocati nel processo istitutivo del parco dalle scelte sociali, da quelle politico-amministrative, e da quelle della pianificazione territoriale ambientale. Il caso del Parco della Vena del Gesso dell'Appennino Romagnolo ha inizio, come si è detto, nei primi anni Ottanta quando, in base al Programma dei parchi regionali, la Comunità Montana dell'Appennino Faentino fu incaricata dalla Regione di formulare la proposta di Parco. E' noto come la Vena del Gesso in questo territorio sia fortemente caratterizzata da una singolare conformazione geomorfologica di notevole rilevanza sia paesaggistica che naturalistica e dalla copiosa presenza di una risorsa mineraria come il gesso dotata di un proprio preciso valore economico. Al tempo stesso l'area è sede di interessi consolidati relativi agli usi agricoli in essa presenti (in realtà piuttosto periferici), ma anche all'attività venatoria, particolarmente praticata e sostenuta nel territorio ravennate. In questo contesto socio-economico ed ambientale la volontà di istituire il Parco ha generato fin dall'inizio rilevanti tensioni tra interessi locali da un lato e interessi collettivi di salvaguardia del patrimonio naturale dall'altro. La proposta di Parco elaborata dalla Comunità Montana si concretizzò nel settembre del 1983 in un'ipotesi di Piano Territoriale. Essa faceva riferimento al dibattito culturale allora in corso, rappresentato dal Progetto di legge regionale quadro sui parchi, il quale sosteneva la scelta del parco naturale di area vasta, finalizzato alla conservazione delle risorse naturali di pregio, e al tempo stesso allo sviluppo socio-economico delle popolazioni residenti nell'area d'interesse del parco. Il Piano, pur non rinunciando ad intervenire criticamente nei confronti del Progetto di legge quadro, ne condivideva tuttavia la scelta centrale cioè la prefigurazione di un modello di parco capace di conciliare conservazione e sviluppo: modello di cui il piano dava una propria particolare interpretazione. Partendo dal conflitto esistente tra i soggetti sociali portatori di questi interessi diversi e contrapposti, il Piano Territoriale faceva il tentativo di proporsi come "strumento di regolazione dei conflitti sociali sull'uso di tali risorse" (2) formulando una "ipotesi di assetto territoriale compatibile con la configurazione delle aspettative e dei bisogni sociali" presenti in quel momento e giudicate piuttosto stabili nel tempo. Il Piano, opponendosi ad una concezione di parco prevalentemente difensiva e vincolistica, mirata esclusivamente alla conservazione dei beni naturali (un approccio allora particolarmente diffuso), rivendicava necessità di trovare forme di mediazione tra tutela dell'ambiente naturale e lo sviluppo delle attività socio-economiche. Indicava come attività umane da potenziare l'agricoltura, la forestazione, l'artigianato, il turismo e prevedeva, al tempo stesso, attività tradizionalmente escluse dai parchi come l'attività estrattiva, la caccia, la raccolta dei prodotti del sottobosco, la creazione di strade, di attrezzature, di servizi e l'intervento edilizio. Inoltre il Piano si spingeva ad affermare che ben poche attività vi sono precluse e quelle poche non sono che quelle bandite in ogni caso dalla legislazione vigente" (2). Se da un lato, questa affermazioni potevano essere lette come un tentativo di dimostrare quanto fosse errata l'idea, assai generalizzata, che vede il parco come una rigida impalcatura di vincoli capace di paralizzare un territorio, dall'altro non si può negare che la proposta di un modello di parco senza vincoli o quasi, contenesse in sé un'ambiguità di fondo non del tutto convincente da ciascuno dei due possibili punti di vista del problema. I limiti del rapporto tra conservazione naturale e sviluppo economico, infatti, non risultavano espressi molto chiaramente: mentre per gli aspetti più attinenti alle discipline naturalistiche il Piano cercava di impostare un'evoluzione delle risorse ambientali e paesaggistiche verso maggiori gradi di qualità naturale, nelle indicazioni d'intervento sembrava assai più rivolto ad un attrezzamento dell'area di tipo intensivo, ancorché finalizzato a tipologie di fruizione leggera. Tutto ciò, del resto, va inquadrato nella situazione dei primi anni Ottanta, nella quale mancava, sia a livello nazionale che regionale, un quadro legislativo di riferimento sui parchi che chiarisse entro quali limiti poteva essere impostato un rapporto corretto tra conservazione e sviluppo socio-economico. Oggi è forse più facile comprendere come il carattere delle indicazioni di piano riflettesse pienamente il dualismo presente nel contesto sociale ed amministrativo di quei territori, ossia il contrasto, ancora oggi non del tutto risolto, tra coloro che volevano la creazione del parco e coloro che la osteggiavano strenuamente. Nonostante il Piano si fosse posto l'obiettivo ardito di mediare queste due esigenze contrapposte da solo non ci poté riuscire. La ricomposizione di quei conflitti, infatti, si situava allora, come adesso, al di fuori del Piano Territoriale, più a monte, nel contesto sociale e politico-amministrativo locale: è qui che deve maturare la volontà di tutelare quest'area; una volontà più condivisa e più forte di quanto sia stata finora. Ciononostante, tutto quanto sin qui è stato compiuto per la realizzazione del Parco, benché non abbia raggiunto l'obiettivo desiderato, sicuramente non è stato inutile. Al contrario il ricco patrimonio di studi, ricerche ed elaborazioni compiute per la redazione del Piano Territoriale costituisce materiale prezioso per un'approfondita conoscenza della Vena del Gesso; la sua divulgazione può essere utile in questa fase per sensibilizzare l'opinione pubblica rispetto al pregio ambientale di quest'area, come pure sarà prezioso in prospettiva quando si determineranno condizioni più favorevoli alla creazione del Parco. Infatti tale patrimonio conoscitivo costituirà un'importante base di partenza per l'elaborazione del Piano Territoriale del futuro Parco, che potrà inoltre avvantaggiarsi dell'evoluzione e dei progressi avvenuti nel campo della pianificazione paesistico-ambientale. Nell'ambito della pianificazione delle aree a parco infatti, si è attualmente pervenuti ad uno stadio di maggiore maturità rispetto alle esperienze avviate all'inizio degli anni Ottanta. Il contesto socio-culturale complessivo è sensibilmente mutato, specie in relazione ai temi ecologici, ed anche la pianificazione ambientale si è evoluta sotto il profilo disciplinare. Ci troviamo oggi in una fase più avanzata della programmazione delle politiche di tutela ambientale, caratterizzata da un lato dal progressivo estendersi di iniziative sociali ed amministrative in favore della tutela e riqualificazione del patrimonio naturale e connotata, dall'altro, da numerose nuove esperienze di pianificazione paesistico-ambientale come quelle dei parchi regionali istituiti, del Piano Paesistico Regionale e dei progetti di tutela e valorizzazione elaborati nelle singole realtà locali comunali o intercomunali. In questa nuova stagione delle politiche di tutela ambientale si colloca l'esperienza di tutela dei Gessi bolognesi la cui situazione complessiva si presenta sensibilmente diversa da quella della Vena del Gesso. Qui la Vena del Gesso affiora a ridosso dell'area urbanizzata, sulle prime colline di S. Lazzaro e Pianoro, nella fascia periurbana del sistema metropolitano. L'attività estrattiva, molto intensa nel dopoguerra è cessata totalmente per volontà delle amministrazioni locali già dai primi anni Settanta ed è venuto così a mancare il principale ostacolo di ordine socioeconomico che si opponeva in passato all'attuazione di misure di salvaguardia ambientale, rivendicate già da oltre un decennio da associazioni naturalistiche e speleologiche. Una realtà, dunque, assai più matura di quella della Vena romagnola; eppure, nonostante ciò, si sono dovuti attendere tempi lunghi prima di giungere alla istituzione formale del parco, con la L.R. n. 11 del 1988. La Provincia di Bologna, già all'inizio degli anni Ottanta aveva compiuto approfonditi studi conoscitivi dell'area ed aveva formulato, nel 1983, una prima proposta di parco, in collaborazione con gli enti locali interessati. Due anni dopo la Regione, pur non essendo ancora riuscita a varare in tale campo una propria legge quadro, aveva tuttavia deliberato l'istituzione di questo parco, facendo riferimento alla L.R. n. 2/1977 sulla tutela della flora. L'atto amministrativo, però, fu annullato dall'organo statale di controllo, in quanto l'istituzione di un parco di così ampio interesse territoriale (3.700 ha circa) non disponeva di un supporto legislativo adeguato. Si dovette dunque attendere la promulgazione della legge quadro (la L.R. n. 11/1988) perché il "Parco dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell'Abbadessa" potesse essere istituito, insieme ad altri sette parchi regionali. La legge ha assegnato alla Provincia il compito di promuovere la costituzione del Consorzio di Gestione e di elaborare ed adottare il Piano Territoriale del Parco, in collaborazione con gli enti locali interessati. Il Piano è stato adottato nel febbraio del 1990, mentre il Consorzio si è insediato nella primavera dello stesso anno. Questo strumento, che si colloca nell'ambito della nuova generazione dei piani territoriali dei parchi istituiti dalla legge quadro regionale, esprime un approccio progettuale concettualmente diverso da quello della Vena del Gesso, come del resto assai differente è il contesto socio-politico di riferimento e l'epoca di elaborazione. Il Piano, che riguarda l'area dei Gessi bolognesi e quella dei limitrofi calanchi ozzanesi, i Calanchi dell'Abbadessa, partendo da un esame approfondito di queste aree ne coglie le caratteristiche peculiari: il notevolissimo pregio naturalistico dell'ecosistema carsico da un lato, e dall'altro la forte connessione con il sistema urbano metropolitano, del quale costituiscono però una frangia periferica, marginale poco qualificata, senza ruolo, né immagine. Da queste caratteristiche discendono gli obiettivi fondamentali del Piano: a conservazione degli ambienti naturali di pregio e la riqualificazione del rapporto tra l'area dei Gessi e dei Calanchi ed il sistema urbano metropolitano. Per poter stabilire una nuova relazione tra i considerevoli valori naturali dell'area, il vasto paesaggio agrario e boschivo che li circonda ed i contesti urbanizzati limitrofi il Piano Territoriale predispone, a corona dell'area di pregio naturalistico rappresentata dal parco vero e proprio, una sorta di zona di cintura ampia e diversificata che circonda i "monumenti naturali" come una cornice paesaggistica e funzionale al tempo stesso. Questa nelle sue articolazioni più vicine agli abitati si configura come un vero e proprio paesaggio-giardino che richiama l'attenzione ed invita anche figurativamente alla visita, alla fruizione, all'ingresso nel mondo dei monumenti naturali, ovvero ad una progressiva e consapevole riappropriazione di quel mondo da parte della popolazione urbana. In tale zona, costituita dalle zone C "di tutela generale" e dal preparco, vengono previsti interventi di riqualificazione strettamente correlati con quegli ambiti che essendo stati intensamente sfruttati, sono più esigenti di interventi attivi di recupero ambientale volto al ripristino dei nuovi equilibri ecologici. Rispetto alla necessità di protezione dei valori naturali più importanti e pregiati il pre-parco e le zone C assicurano un'azione di filtro graduale e non traumatico, selezionando l'impatto con la popolazione, attraverso le diverse forme di fruizione che qui vengono offerte e fornendo inoltre un'ampia articolazione di rapporti possibili tra il valore naturalistico eccezionale e il contesto ambientale ed insediativo circostante. Il Piano concretizza, dunque, il suo duplice obiettivo individuando, nell'ambito dell'area vasta dei Gessi bolognesi e dei Calanchi ozzanesi, due parchi diversi, ma complementari l'uno all'altro: il "Parco Naturalistico" che comprende tutti gli ambienti dotati di spiccate qualità ecologico-naturali, come la Vena del Gesso affiorante, ed il contesto ambientale circostante (le zone A e B), ed il "Parco Metropolitano" (ovverosia il "giardino della città") in cui sono ricompresi tutti i contesti paesistici ambientali, agricoli e delle periferie urbanizzate intercluse (le zone C e pre-parco). Per il Parco Naturalistico il Piano elabora un programma di uso e di tutela ambientale che fa riferimento alla rarità dei biotopi qui presenti: per queste aree le norme sono maggiormente vincolanti ed accanto al recupero della qualità ambientale complessiva di tale patrimonio ne ipotizzano un'utilizzazione controllata, prevalentemente rivolta a scopi scientifici e didattici. Viceversa, per il Parco Metropolitano, che ha la funzione, come si è detto, di una sorta di membrana osmotica posta tra i monumenti naturali e la città, il Piano attenua il tenore dei vincoli, per esercitare un'azione più propriamente propositiva. Essa propone di operare tramite progetti del verde capaci, ad un tempo, di conferire un'immagine qualificata a questo paesaggio, di esaltarne tutte le valenze storico-ambientali esistenti, ma anche di inserire nuovi elementi paesaggistici di sottolineatura di assetti perduti e di stabilire nuove relazioni (e ripristinarne di antiche) tra i diversi elementi esistenti sul territorio. In sintesi, tramite interventi del verde, sia localizzati che di relazione, il Piano intende conferire nuovamente a questi luoghi una struttura propria, che oggi non è più riconoscibile; ciò senza peraltro imporre nuove architetture del verde rigide e troppo vaste, ma solo elementi capaci di spostare le "relazioni" tra i luoghi, fino ad ottenere un loro assetto complessivo diverso dall'esistente. In tal senso il "Parco Metropolitano" diviene contemporaneamente elemento immediatamente percepibile come verde collettivo a servizio della città; fattore di riqualificazione dell'agricoltura e delle sue attività e infrastrutture storiche e tradizionali, nonché di quelle di nuova concezione ecologica; modalità di riqualificazione delle periferie, chiamate ad una stretta relazione col contesto ambientale del parco. E, conseguentemente, il Piano Territoriale diviene strumento di pianificazione attiva, fornendo la "prefigurazione" (più che la zonizzazione) del nuovo assetto da raggiungere. In questo senso anche l'interconnessione tra il "Parco Naturalistico" e il "Parco Metropolitano" viene risolta attraverso il sistema delle relazioni che vengono stabilite tra due parti del sistema-parco, in modo tale da riuscire ad ottenere, alla fine un territorio rinnovato, sia per conservazione dei beni naturali che lo caratterizzano, sia per le nuove possibilità di fruizione e di percezione che ogni cittadino, mediamente può ritrovare sul proprio territorio. Questa formulazione del Piano dovrà ora affrontare tutte le fasi di verifica che ne precedono l'approvazione e la conseguente entrata in vigore. Si apre dunque una nuova fase di esperienza per l'area dei Gessi bolognesi e più in generale per tutti i parchi regionali recentemente istituiti: quella dell'attuazione, della realizzazione pratica e concreta delle scelte operate dal Piano Territoriale. Quest'ultimo sarà tanto più efficace, quanto più sarà riuscito a definire un modello di assetto da raggiungere chiaro nelle sue caratteristiche e nelle sue finalità e al tempo stesso a rimanere aperto ai successivi apporti che verranno nel corso del processo attuativo, strutturando a questo fine un positivo intreccio di norme attive, propositive e di strumenti d'intervento attuativo. E' necessario, infatti, che il piano non interpreti la realtà contingente come assetto statico e duraturo nel tempo, ma che, viceversa, sappia avviare e favorire esso stesso un processo di trasformazione dell'assetto territoriale e dei suoi usi, che sia verificabile e perfezionabile anche in corso d'opera. Ma il piano territoriale, benché rappresenti uno strumento importantissimo di tutela, da solo non è sufficiente a realizzare concretamente il parco. E' necessario che siano messe in campo anche strutture operative, capacità tecniche e gestionali qualificate, risorse economico-finanziarie ed umane adeguate ad affrontare l'opera complessa e ancora da sperimentare che porta, attraverso successive trasformazioni, alla costruzione di un parco. Al momento attuale, tuttavia, sia nell'ambito dei consorzi di gestione di parchi regionali già operanti, che nel mondo culturale vicino alle travagliate vicende dei parchi vi è un diffuso senso d'incertezza circa la possibilità di disporre, nei tempi necessari, delle risorse indispensabili sia alla gestione della fase attuativa, che all'attuazione degli interventi previsti dai piani territoriali già adottati. La preoccupazione maggiore è che queste ulteriori difficoltà possano compromettere il decollo dei parchi regionali, che, viceversa, richiede di essere particolarmente seguito e sostenuto e per il quale andrebbero messe in campo risorse umane e finanziarie in grado di affrontare le difficili problematiche legate alla gestione di sistemi complessi, quali i parchi ad area vasta effettivamente sono. Quella che si apre è dunque una fase piena di tensioni positive, di aspettative e al tempo stesso di difficoltà che richiedono quanto prima di essere affrontate e risolte attraverso chiare scelte istituzionali a favore della costruzione della nuova esperienza di tutela attiva che i parchi rappresentano. Accanto alle iniziative promosse dall'ente regionale sono andate maturando e compiendosi altre esperienze, nate spontaneamente a livello locale. A questo proposito è interessante esaminare il caso del "progetto di tutela, recupero e valorizzazione naturalistica dei Gessi di Monte Capra" anch'esso situato nell'ambito del sistema urbano dell'area metropolitana bolognese. Si tratta di un'area che interessa le prime colline di Zola Predosa e di Casalecchio di Reno, caratterizzata da un affioramento gessoso-solfifero che possiede, seppure in dimensioni più contenute, le straordinarie valenze naturalistiche ed ecologiche già osservate nei due casi precedenti; l'area è inoltre arricchita da un contesto paesaggistico collinare ancora ben conservato nella propria identità storica, da tracce di antichi insediamenti, da opere ed edifici di pregio storico-architettonico. L'insieme di queste testimonianze documenta come, nel passato, la positiva integrazione degli insediamenti umani con le caratteristiche naturali di questi luoghi abbia consentito la formazione di un paesaggio e di un corrispondente ecosistema complessivamente equilibrati. Oggi, perché quest'area conservi i propri valori, è necessario che assuma un ruolo nuovo nel rapporto con l'insediamento urbano che preme ai suoi margini; un ruolo che risponda all'esigenza di una sua conservazione e valorizzazione e che, contemporaneamente soddisfi la necessità del sistema metropolitano di disporre di un articolato insieme di aree non urbanizzate ad elevata valenza ambientale, attraverso cui ristabilire quel rapporto tra uomo e mondo naturale, che nell'ecosistema artificiale urbano rischia di andare smarrito. L'area di Monte Capra infatti deve essere considerata nella sua naturale connessione con i parchi della collina bolognese, con quello dei Gessi e dei Calanchi dell'Abbadessa e con il futuro Parco del Lungo Reno, sino a formare un ampio sistema ambientale integrato con il sistema urbano metropolitano. Il Comune di Zola Predosa, nel 1988 si è fatto promotore dell'iniziativa di valorizzazione che ha portato ad un protocollo d'intesa tra la Provincia ed i comuni interessati all'elaborazione di un progetto ambientale complessivo. In una prima fase sono stati compiuti gli studi e le ricerche necessarie ad un più approfondita e documentata conoscenza dell'area, per arrivare poi, nel 1990, alla formulazione del progetto ambientale vero e proprio. Questo innanzitutto individua le caratteristiche del paesaggio, le sue articolazioni omogenee e le loro tendenze evolutive al fine di tutelarne e valorizzarne le risorse naturali e culturali. La tutela è operata attraverso indirizzi normativi volti a disciplinare le azioni di trasformazione del territorio e ad incentivare le attività che contribuiscono alla gestione corretta e alla salvaguardia dell'ambiente garantendo la tutela delle risorse primarie, la difesa del suolo, la prevenzione dell'inquinamento. Oltre a perseguire obiettivi di tutela, il progetto mira a promuovere la conoscenza della natura, la sperimentazione scientifica e tecnica, la fruizione culturale ed educativa, rivolta soprattutto alla scuola, ma anche la fruizione ricreativa nelle zone meno delicate. Queste nuove funzioni vengono proposte in una visione integrata di quest'area con il sistema di parchi urbani e periurbani, ai quali si ricollega tramite percorsi pedonali e ciclabili e ai quali attribuisce, al tempo stesso la nuova funzione di garantire il proseguimento fisico e culturale della fruizione dell'ambiente naturale fin dentro l'urbanizzato. Questo progetto rappresenta attualmente un tentativo nuovo di affrontare il tema della tutela e della valorizzazione di un patrimonio naturale e paesaggistico: infatti in questo caso non si ricorre all'istituzione di un, parco, ma si vuole prefigurare un nuovo assetto territoriale di un'area di pregio, attraverso un progetto ambientale complessivo teso ad omogeneizzare e a coordinare le azioni di diversi comuni e a coinvolgere la Provincia nell'impegno attuativo. L'iniziativa viene ad assumere, di fatto, valore di sperimentazione volontaria delle capacità di governo del territorio da parte dell'ente locale e, al tempo stesso, delle possibilità di coinvolgimento della popolazione nella sua attuazione. Dal realizzarsi di queste due condizioni dipenderà il successo dell'iniziativa, ma anche la possibilità di sperimentare una proficua integrazione tra fattori sviluppo socioeconomico e tutela ambientale; una tutela che non sia passiva e fine a se stessa; ma che al contrario sia volta a garantire la rinnovabilità delle scelte che potranno avvicendarsi in futuro su questo territorio, come già è avvenuto in passato, senza pregiudicare mai l'esistenza dei suoi principali elementi di pregio. Questo è, d'altronde, l'obiettivo principale che sta alla base anche della creazione di un parco naturale; l'iniziativa intrapresa per la tutela e valorizzazione di Monte Capra rappresenta dunque un'esperienza alternativa alla realizzazione di un parco, attagliata a realtà piuttosto contenute dal punto di vista dell'estensione territoriale. Sarà interessante seguirne l'evoluzione e l'attuazione poiché se ne potranno trarre utili indicazioni per sperimentare nuove modalità di salvaguardia degli affioramenti gessoso-solfiferi minori, come pure di altre aree di pregio naturalistico, di cui la Regione Emilia-Romagna è ricchissima. Complessivamente possiamo considerare conclusa, almeno per quanto riguarda la Provincia di Bologna, la fase propositiva dei provvedimenti di tutela: essi ormai in buona parte sono stati compiuti. Si apre ora, invece la fase attuativa e gestionale, caratterizzata dal difficile compito di trasformare l'uso e l'assetto di sistemi complessi come quelli ambientali, specie quando questi siano intimamente intrecciati e connessi a quelli insediativi. Un compito difficile che richiede profonde innovazioni sul tessuto socio-culturale, come in quello politicoamministrativo e tecnico-gestionale e che prefigura gli anni Novanta come il decennio dell'azione concreta nel campo della salvaguardia ambientale. Note (1) Anche il faticoso avvio dei processo di realizzazione del Parco, tuttavia, non è privo di ostacoli che si frappongono al varo effettivo dell'iniziativa. Nel momento in cui si scrive, infatti, la validità definitiva del provvedimento di adozione del Piano Territoriale è subordinata ad una sentenza del TAR che dovrà esprimersi circa la legittimità del provvedimento stesso. (2) Citazioni della Relazione illustrativa del piano. |
Fig. 1 - La Vena del Gesso (al centro) nella valle del Santerno a tramonto invernale. (foto G.B. Vai). |
Fig. 2 - Monte Penzola. (foto G.B. Vai). |
Fig. 3 - Le bancate gessose sopra Ca' Paradisa, Borgo Tossignano. (foto G.B. Vai). |
Fig. 4 - La riva di San Biagio da Tossignano. (foto G.B. Vai). |
Fig. 5 - Stralcio del Piano Territoriale Paesistico Regionale adottato il 30/11/1989 e successivamente approvato nel Settembre 1993 (scala 1:250.000) - 1, Parco della Vena del gesso dell'Appennino Romagnolo. - 2, Parco dei Gesi Bolognesi e dei Calanchi dell'Abbadessa. 3, Gessi di Monte Capra. |
Fig. 6 - Vista aerea della Cava ANIC, Monte Tondo. (foto M. Astorri, 1983). |
Fig. 7 - Le bancate gessose nella Cava ANIC, Monte Tondo. (foto G.B. Vai, 1992). |
Fig. 8 - Raccolta manuale delle olive a ridosso della Vena del Gesso. (foto G.B. Vai, 1991). |
Fig. 9 - Cartello apposto a uno degli accessi al Parco Carnè, Brisighella. (foto G.B. Vai, 1991). |
Fig. 10 - Cava di gesso abbandonata a Vezzano sul Crostolo, in fase di recupero naturale. (foto G. Vianello, 1991). |
Fig. 11 - I gessi selenitici in grandi bancate di Vezzano sul Crostolo. (foto G. Vianello, 1991). |
|
Speleo GAM Mezzano (RA)